Occorre ringraziare il San Carlo di Napoli per avere riportato il suo bellissimo allestimento de Die Walkűrie prodotto nel 2005 quando venne premiato con l’Abbiati (l’Oscar italiano della musica) per regia (Federico  Tiezzi), scene (Giulio Paolini) e costumi (Giovanna Buzzi). Naturalmente, il cast vocale e la direzione musicale sono cambiati, ma oggi si apprezzano meglio di allora l’astrazione, la sobrietà e l’eleganza della parte drammaturgica e visiva dello spettacolo. Il ringraziamento è doppio perché alla replica del 16 maggio in sala e nei palchi, c’erano numerosi giovani da pochi minuti prima delle 18 ad oltre le 23 (con due brevi intervalli) sempre attenti ed al termine incantati. Ne so qualcosa perché io stesso mi appassionai alla lirica quando al Teatro dell’Opera di Roma vidi ed ascoltai Il Vascello Fantasma (allora lo si intitolava così) di Richard Wagner in un’edizione rigorosamente tedesca, con Karl Bőhm alla direzione musicale.



Delle quattro opere che compongono Der Ring des Nibelungen (L’Anello del Nibelungo), Die Walkűrie è quella più frequentemente rappresentata al di fuori dal resto del ciclo. Ci sono varie spiegazioni. In primo luogo, è relativamente compatta: tre atti, ciascuno di un’ora e venti minuti e diviso in tre scene musicali. Inoltre, racconta una storia d’amore come nella tradizione operistica più antica. Anzi, molteplici storie d’amore sovrapposte: lo stupro di Sieglinde da parte di Hunding; la passione totalizzante di Siegmund e Sieglinde; l’ormai decotto rapporto coniugale tra Wotan e Fricka; l’amore paterno di Wotan per Siegmund, Siglinde e soprattutto per Brűnnhilde; l’amore filiale di Brűnnhilde per Wotan; il rapporto tra Brűnnhilde, le sue sorelle e i suoi fratellastri. L’intreccio amoroso è frammisto a una complessa vicenda di potere: anche il potere è da sempre ingrediente essenziale della tradizione del teatro in musica.



In terzo luogo, le vicende avvengono in scena (comprendendo sia slanci appassionati che battaglie) e non tramite racconti come nelle altre opere della tetralogia wagneriana. Infine, Die Walkűrie è ancorata per molti aspetti alla convenzione dell’opera romantica nella scrittura sia orchestrale sia vocale – ad esempio, l’aria di Siegmund per l’arrivo della primavera Winterstürme wichen dem Wonnemond,. Tuttavia la scrittura orchestrale e vocale comporta equilibri delicatissimi.

Nel 2005, dirige Jeffrey Tate, un ricamo delicatissimo, ispirato forse alla celebre edizione discografica (un capolavoro della stereofonia registrato tra il 1958 ed il 1965). Oggi Juraj Valčuha ha un piglio differente: pur mantenendo un tono intimistico e senza cedere a tentazioni da teatro epico, la sua concertazione è fortemente drammatica. Ha a sua disposizione un organico quasi quali previsto da Wagner (ad esempio le arpe sono quattro, non due come invalso nella tradizione, ma neanche sei come nell’orchestrazione originale wagneriana) e, dilatando i tempi accentua i colori ed i calori. Meravigliosi gli ottoni ed i fiati; di grande livello gli archi. Con una fossa molto profonda non copre mai le voci di cui si può ascoltare ogni parola ed ogni nota. Soprattutto Valčuha dà gli attacchi ai cantanti e li cura con attenzione; ad esempio, abbassa il volume dell’orchestra quando li sente in difficoltà negli acuti.



Robert Dean Smith è un Siegmund più lirico che eroico. L’ottimo legato, il timbro chiaro, la facilità con cui ascende a registri alti, l’abbandono nel Winterstűrme (cantato come un vero e proprio arioso) denotano non solo come sia ormai approdato a ruolo wagneriani.

Liang Li è un Hunding in grado di discendere a registri gravi molto profondi. Ha un portamento, al tempo stesso, freddo ed imponente. Disegna, come si è detto, non il solito Hunding selvaggio e rude ma quasi un agente del Male.

Il lettone Egils Silins è un Wotan, imponente e, al tempo stesso, sia sofferente sia sofferto. Si attaglia bene comunque ad un Re degli Dei che, in questa lettura, anela ancora per la riconquista del potere ma è già un vinto. E lo sa. Di grande livello, comunque, la sua presenza scenica e la sua vocalità nel duetto con Fricka al secondo atto ed in quello con Brűnnhilde nel terzo.

Ekaterina Gubanova , già vista ed ascoltata in questo ruolo alla Scala nel 2011, è una Fricka fredda, quasi burocratica Tiene molto bene il confronto con Wotan che riempie un terzo del secondo atto.

Manuela Hul (giovane e bella Sieglinde) è, per molti, una scoperta. Ha un registro molto ampio ed un fraseggio straordinario, anche se a volte eccede nel registro alto. Raramente il monologo Der Männer Sippe opppure il temibile O hehrstes Wunder! Herrliche Maid! (che annuncia il finale dell’intera tetralogia) hanno letteralmente riempito una sala con tanta naturalezza.

Irén Theorin, già ascoltata a Palermo nel ruolo, è una Brűnnhilde quasi più dolce che guerriera; resta un soprano drammatico e quindi dà il meglio di sé nei momenti improntati a lirismo drammatico (quali la contemplazione della morte Siegmund!Sieh auf mich!) e nel confronto finale con Wotan –al termine del quale è apparsa leggermente affaticata.

Ottimo il gruppo delle otto Valchirie, scelte con grande cura in vari Paesi degli Usa e dell’Europa. Valčuha ne esalta la polifonia.

Grande e meritato successo.