Ernani, la quinta opera di Verdi, non viene eseguita spesso, soprattutto perché richiede quattro grandi cantanti: un soprano drammatico di coloratura, un tenore svettante, un baritono morbido e un basso molto profondo. Richiede anche scene complicate: foreste e castelli in varie parti della Spagna del XVI secolo, la tomba di Carlo Magno (così come la Cattedrale) ad Aquisgrana e persino una danza nuziale su una terrazza da cui si vede l’Aragona. Su questa testata ne ho recensito spettacoli dal vivo solo in due occasioni. La prima è stata la ripresa a Bologna di una produzione di successo che aveva debuttato a Palermo nel 1999. L’avevo vista al Teatro Massimo palermitano, ne ero stato affascinato e mi sono recato al Teatro Comunale di Bologna per rivederla. La seconda è stata l’inaugurazione della stagione 2013-2014 del Teatro dell’Opera di Roma con Riccardo Muti; quella stagione fu dedicata ai bicentenario di nascita di Verdi e Wagner.
In primo luogo, non si tratta di una semplice ripresa della messa in scena del 1999. Come scritto su questa testata, non tutte le produzioni sono adatte per la TV o per lo streaming. La produzione di Ernani del 1999 è stata rinnovata da due specialisti televisivi Gery Palazzotto e Antonio Di Giovanni. Il scenografo e costumista Francesco Zito e i suoi collaboratori Andrea Fiduccia e Fabiola Nicoletti mantengono gli abiti sontuosi ma modificano i set. Giuseppe Di Iorio ha fornito una nuova illuminazione. La mise an èspace generale è stata di competenza di Ludovico Rajata. In breve, l’orchestra era con una spaziatura adeguata, dal palcoscenico a circa la metà della platea; l’azione si sviluppa nell’altra metà della platea con alcuni oggetti di scena e particolare attenzione alle esigenze televisive; i membri del coro erano nei quattro livelli di palchi. Splendide scene dipinte sono state mostrate sul palcoscenico. Ottime scelte visive.
Quando compose l’opera, nelle vene di Verdi bruciava la fiamma rivoluzionaria. La sua ribellione era contro la religione dei suoi padri e antenati perché Dio Onnipotente aveva lasciato morire sua moglie e i suoi figli in un lasso di tempo molto breve. La sua rivolta era anche contro l’establishment che non apprezzava affatto la sua relazione fuori dal matrimonio con il soprano Giuseppina Strepponi (che in seguito divenne sua moglie). Verdi non era contrario alla dominazione austro-ungarica di buona parte del Nord Italia. In effetti, l’opera era stata commissionata (per ben 12.000 lire austriache) dal Teatro veneziano La Fenice. Il soggetto doveva essere rivoluzionario fin dall’inizio. Verdi e Francesco Maria Piave (autore del libretto) avevano pensato ad un’opera su Cromwell, dal romanzo di Walter Scott. Alla fine si rivolsero all’Ernani di Victor Hugo che dieci anni prima era stata la bandiera del Romanticismo francese contro il tradizionale teatro neoclassico.
Il protagonista, Ernani è un nobile diventato bandito non perché punta ad un’unità nazionale della Spagna nel XVI secolo, ma perché voleva che i suoi territori si separassero dalla Spagna e dal resto del Sacro Romano Impero. Infatti, i suoi avversari sono Don Carlo, re di Spagna, che sta per diventare Imperatore dell’intero Sacro Romano Impero (come fa nel terzo atto, ambientato ad Aquisgrana) e il Grande di Spagna Don Ruy Gomez de Silva. Per rendere le cose più complicate – se ce ne fosse stato bisogno – sia Don Carlo che Don Ruy sono attratti dalla donna di Ernani, Elvira. Questo mix di politica, potere, passione e ribellione è tale che Verdi si preoccupò molto nella preparazione del libretto.
Come chiaramente dimostrato dalla corrispondenza di Verdi analizzata in un brillante saggio del musicologo Daniele Spini, Verdi combatté duramente (e vinse) per avere il ruolo di Ernani impostato per un tenore non per un contralto (secondo l’usanza dell’epoca). Ernani è il primo ‘tenore verdiano’ dal timbro molto chiaro, uno speciale fraseggio e arie melodiose per plasmare il melodramma ottocentesco. Così, anche la partitura fu, nel 1844, rivoluzionaria, pure se è in gran parte fatta di “forme chiuse”, o “numeri” che potevano anche essere pubblicati separatamente e utilizzati per concerti di musica da camera (spesso in palazzi aristocratici). C’è, tuttavia, una grande innovazione rispetto alle convenzioni operistiche dell’epoca: il solito brillante rondò per la prima donna è sostituito da un terzetto dalla durata di quasi mezz’ora. Ernani divenne rapidamente immensamente popolare. Verdi l’ha anche rivista, aggiungendo un’aria con coro su richiesta di Gioacchino Rossini, oltre ad una cabaletta.
In secondo luogo, come ha spesso sottolineato Riccardo Muti, in Ernani un buon direttore d’orchestra può percepire e far sentire al pubblico i germi dei futuri capolavori di Verdi: innanzitutto Il Trovatore ma anche Don Carlo, Simon Boccanegra e persino Otello. Il direttore musicale del Teatro Massimo, Omer Meir Wellber, ha portato nell’ottima orchestra sia la febbre rivoluzionaria che le premonizioni dei futuri capolavori. Il coro preparato da Ciro Visco è di altissimo livello e merita una menzione speciale, soprattutto per Si Ridesti il Leon di Castiglia.
La messa in scena si concentra sui conflitti personali. Questo permette – un’altra delle innovazioni di Verdi in Ernani – di espandere facilmente le arie ed i duetti, e di raccogliere un senso di vero dramma musicale. Omer Meir Wellber ha dato forza al dramma musicale tramite il controllo sulla dinamica di ogni intero atto, non dei singoli numeri musicali. Fin dal breve preludio, espone tutte le idee musicali con i due principali temi drammatici dell’opera, quello imperniato sulla tromba solista e sul trombone (il giuramento fatale di Ernani a Don Ruy) e quello lirico (l’amore di Ernani ed Elvira).
Elvira è stato uno dei ruoli preferiti di Dame Joan Sutherland. Eleonora Buratto lo interpreta a Palermo. È la prima volta che ha avuto il ruolo così arduo in una messa in scena di Ernani. Sentivo che era a suo agio nell’andantino della cavatina Ernani Involami e in tutte le vocalizzazioni ornamentali che la seguono. E’ esplosa in tutte le sue capacità vocali nel finale, quando il suo duetto con Ernani (Giorgio Berrugi) divenne un terzetto con Don Ruy (Michele Pertusi), una vera e propria profusione di idee melodiche in cui il lirismo di Buratto e Berrugi si confronta con la grave dissonanza di Pertusi. Una conclusione magnifica.
Berrugi debuttava nel ruolo con l’impostazione giusta, dalla cavatina in formato di doppia aria all’andante del secondo atto fino a Ferma, Crudel, Estinguere nell’ultimo atto. Invece, Pertusi ha debuttato nel ruolo trentasette anni fa a Modena. Così, è un veterano Don Ruy; con l’età, il suo acuto non è così puro come una volta, ma lo supplementa con le sue profonde tonalità gravi e con la recitazione diabolica in cui il suo Don Ruy è un antenato del Jago di Otello. Simone Piazzola è un baritono molto esperto: ha eccelso in O’ De’ Verd’anni Miei, l’aria del terzo atto che è il punto di svolta del dramma; nell’aria è stato in grado di esprimere l’estremo cambiamento di atmosfera — dai cupi ricordi musicali di un baritono florido alla forza ritrovata e all’ampia gamma di espressione.
Da non perdere.
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