La sera del 10 marzo si è visto su RAI5 il nuovo allestimento di Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, prodotto dal Teatro Comunale di Bologna insieme a Rai Cultura e registrato a porte chiuse a inizio febbraio. Dopo la prima visione di mercoledì 10 marzo, l’opera si può vedere su RaiPlay. C’era molta attesa per questo allestimento in versione film-opera firmato da Rosetta Cucchi, diretto da Asher Fisch e girato interamente dentro la sala del Bibiena e nei suoi ridotti e corridoi. La regista pesarese Rosetta Cucchi è direttore artistico del Wexford Festival Opera che con la sua guida ha assunto un grande rilievo internazionale.
Lo spettacolo, originariamente previsto lo scorso maggio ma sospeso a causa dell’emergenza sanitaria, apre in maniera inedita l’anno operistico 2021 del teatro felsineo con una produzione pensata e concepita per il pubblico televisivo, come già fatto, ad esempio, dal Teatro dell’Opera di Roma e dal Teatro Massimo di Palermo. Scene, costumi e luci sono firmati rispettivamente da Tiziano Santi, Claudia Pernigotti e Daniele Naldi, le coreografie da Luisa Baldinetti, presente anche nella veste di ballerina, e i video di Roberto Recchia. Come di consueto, il coro del TCBO è preparato da Alberto Malazzi.
I quattro atti dell’opera diventano quattro spaccati di epoche diverse. La Adriana Lecouvreur della storia e della leggenda racconta il primo capitolo della vicenda in un retropalco della prima metà del Settecento. Nel secondo atto saltiamo all’Ottocento ed ecco che la vicenda si colora di toni più romantici. Adriana idealmente è una Sarah Bernhardt, tra le attrici che più hanno interpretato questo ruolo nella tragedia di Legouvé e Scribe. Nel terzo atto si arriva agli anni venti del secolo scorso, dove il cinema entra prepotente nella società e i sentimenti sono filtrati da una macchina da presa. Tante sono le muse ispiratrici di quel periodo: da Yvonne Printemps, protagonista di uno dei primi film muti ispirati alla Lecouvreur, per arrivare a Greta Garbo o a Loie Fuller. Nell’ultimo capitolo siamo nel 1968 in una Parigi dominata dalla Nouvelle Vague: una sorta di diario intimo di una generazione nuova ma inquieta dove la protagonista, che potrebbe ispirarsi ad Anna Karina o a Catherine Deneuve, si confronta con se stessa e con l’immagine che il mondo ha di lei, come in un film di Jean-Luc Godard.
L’idea è, senza dubbio, interessante ma viene realizzato in modo più teatrale che cinematografico. L’azione si svolge tra palcoscenico, palchi, foyer e corridoi ma ha poco nulla di cinematico o televisivo. Tranne il fatto che l’orchestra occupa tutta la platea, ma non si vede mai. La partitura, che non è priva di pregi, diventa la colonna sonora di un mélo senza che si vedano mai né Asher Fisch né gli strumentisti.
Adriana Lecouvreur venne rappresentata per la prima volta al Teatro Lirico di Milano il 6 novembre 1902; Cilea e il librettista Arturo Colautti trassero il soggetto dell’opera dal dramma Adrienne Lecouvreur di Eugène Scribe ed Ernest Legouvé, che a loro volta si ispirarono alla figura storica di Adrienne Couvreur, la celebre attrice teatrale francese che nel Settecento rivoluzionò il modo di recitare ricercando un’espressività più naturale. Nella trama dell’opera, Adriana Lecouvreur, prima attrice della “Comédie Française”, e la Principessa di Boullion si contendono gli affetti (e il letto) del giovane Maurizio, Principe di Sassonia, e aspirante al trono di Polonia. In un Settecento amorale di intrighi d’alcova e di politica (sulla trama principale se ne inseriscono un paio di secondarie, relative all’amore, non corrisposto, del direttore della “Commedie” Michonnet per Adriana ed allo sciupafemmine Principe di Bouillon), la Principessa avvelena, per gelosia, la rivale.
Grande successo di pubblico (più contenuta la critica) sin dalla prima nel 1902. Considerata impropriamente parte del “verismo musicale”, è vicina all’”opéra lyrique” francese di Massenet e soprattutto al “grand opéra padano” che ebbe un certo successo tra fine Ottocento ed inizio Novecento ma di cui poche opere (ad esempio La Gioconda di Amilcare Ponchielli): all’essenza patetica della vicenda centrale si giustappone un’ambientazione lussureggiante (con uso di strumenti e musica d’epoca, nonché di balletto) per il contesto. Il tutto è soffuso da un elegante e decadente lirismo (sia vocale sia della scrittura orchestrale, rivalutata negli ultimi anni da direttori come Sfefano Ranzani). Anche se i quattro protagonisti hanno ciascuno spessore, è un’opera per prime donne, il cui nome è legato a Magna Oliviero, Renata Tebaldi, Antonietta Stella e Monserrat Caballè ed in tempi più recenti Renata Scotto, Rajna Kabaivanka, Mirella Freni. Richiede una tessitura lirico spinta unitamente ad una grande presenza scenica. Ne ricordo un’edizione eccellente in cui le due protagoniste erano Renata Scotto e Fiorenza Cossotto. La vocalità per Maurizio di Sassonia era stata tagliata su misura per Enrico Caruso protagonista della prima sia a Milano sia tre anni dopo a New York.
Nella storia del Comunale di Bologna le traversie dell’eroina di Cilea sono state messe in scena con grandi interpreti del Novecento nel ruolo del titolo: Magda Olivero nel 1956, Raina Kabaivanska nel 1982, Mirella Freni nel 1988 e, per l’ultima volta, nel 1993.
In questo allestimento, protagonista in un doppio debutto, nel ruolo del titolo e al Teatro Comunale di Bologna, è il soprano lettone Kristine Opolais. La sua deuteragonista è il mezzo soprano Veronica Simeoni. Sono due artiste più volte recensite su questa testata. Arduo commentare vocalità trasmesse tramite il mezzo televisivo. Avrei preferito una Adriana più drammatica e con una voce più spessa ed una Principessa più perfida, e quindi con una vocalità più scura. Luciano Ganci è un buon Maurizio di Sassonia con un solido registro di centro. Ottimo, anche per la parte attoriale, Nicola Alaimo nei panni di Michonnet. Completano la compagine vocale Romano Dal Zovo (Principe di Bouillon), Gianluca Sorrentino (L’abate di Chazeuil), Elena Borin (Mad.lla Jouvenot), Aloisa Aisemberg (Mad.lla Dangeville), Luca Gallo (Quinault) e Stefano Consolini (Poisson).
In breve un esperimento riuscito a metà.
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