Israele nella trappola di Hamas. Lo scenario che si prospetta dopo l’ormai inevitabile operazione militare a Rafah sarà quello di rapporti deteriorati con i Paesi vicini, in particolare l’Egitto, e di una Striscia di Gaza difficilmente liberata dall’organizzazione terroristica palestinese che ha dato il via al massacro del 7 ottobre. Insomma, si realizzerebbe la situazione che probabilmente Hamas stessa aveva prefigurato, immaginando come Israele avrebbe reagito all’attacco portato ormai più di sette mesi fa, deciso proprio per evitare una pacificazione di Tel Aviv con i Paesi arabi che non tenesse conto della necessità di risolvere la questione palestinese.



Alla fine, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di diplomazia culturale e geopolitica del Medio Oriente, dopo tutta questa violenza gli israeliani potrebbero ritrovarsi meno sicuri di prima e con un Paese spaccato al suo interno, come dimostrano alcuni episodi delle ultime ore: da una parte ci sono 900 famiglie che oggi chiedono al ministro della Difesa Yoav Gallant di rinunciare all’azione a Rafah per risparmiare la vita dei loro figli soldati, dall’altra il ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir e il collega dell’Edilizia Yitzhak Goldknopf che sono favorevoli agli insediamenti israeliani nella Striscia. E con loro gli attivisti di destra che impediscono il passaggio degli aiuti per la gente di Gaza. Intanto la trattativa per ostaggi e tregua è al palo, bloccata: si aspetta solo l’attacco a Rafah, condotto gradualmente, quartiere per quartiere, ma con gli stessi prevedibili effetti di morte di un’operazione più massiccia. Senza contare le sofferenze, le epidemie, le famiglie distrutte, la mancanza di cibo e acqua potabile che questa ulteriore azione militare porterà con sé: 450mila persone se ne sono già andate dalla zona a ridosso del confine egiziano, ma non basta per evitare la catastrofe.



Secondo la CNN Israele ha ammassato sufficienti truppe per attaccare a Rafah. Un’azione ormai inevitabile? Rispetto alle previsioni si procederà solo con più prudenza?

Le pressioni su Israele per dare almeno l’impressione di voler causare meno vittime possibile impongono a livello mediatico che l’invasione non sia a tutto campo. Probabilmente si procederà quartiere per quartiere, ma in un contesto dove si è ammassata quasi tutta la popolazione di Gaza. Un’avanzata, comunque, problematica dal punto di vista delle vittime, senza poter garantire posti sicuri per evitare alla gente di trovarsi in mezzo alle bombe e ai proiettili. Anche in occasione degli attacchi nel Nord di Gaza, d’altra parte, erano stati individuati percorsi ritenuti sicuri per i civili, ma che non lo sono stati per niente.



I bombardamenti su Rafah non si sono mai fermati e l’IDF ha già preso possesso, oltre che del valico, anche di alcune zone della città: l’invasione di fatto è già iniziata?

Era impossibile immaginare che a questo punto Israele si fermasse: l’operazione contro Hamas dura da sette mesi e l’unico luogo ancora da bonificare nella Striscia è Rafah. Assurdo che l’IDF rinunciasse ad agire nell’ultimo baluardo in cui Hamas è asserragliata.

Alla fine Israele, come ha sempre fatto in questi mesi, porterà a termine i suoi piani senza che nessuno le impedisca di realizzarli?

Se gli israeliani sono arrivati fino a questo punto è perché la comunità internazionale ha permesso loro di fare quello che vogliono, senza nessun intervento incisivo. Biden ha minacciato di non fornire più munizioni in caso di attacco a Rafah, ma non so fino a che punto ci possiamo credere. E comunque l’attacco a Rafah, di fatto, è in corso.

Ma nello specifico gli obiettivi di questa operazione quali sono?

Bisogna intendersi su cosa voglia fare veramente Israele. L’operazione era nata per portare gli ostaggi a casa, ma ora questo tema è slittato non in secondo piano, ma addirittura al terzo o al quarto. Forse gli israeliani prenderanno qualche capo di Hamas. Quest’ultima, però, non scomparirà dalla scena. Anzi, ne uscirà rinvigorita, al limite con un altro nome e una nuova leadership.

Dopo Rafah Israele dovrà spiegare quale sarà il futuro di Gaza. Già oggi, invece, le relazioni con i Paesi confinanti si sono deteriorate. Per il Wall Street Journal l’Egitto vuole ridurre i rapporti diplomatici con Tel Aviv e aderire alla causa contro Israele del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja. I problemi, insomma, continueranno anche dopo l’ultima azione militare?

Quando Hamas ha dato il via all’attacco del 7 ottobre probabilmente voleva provocare una tale reazione da parte di Israele da pregiudicare i rapporti con i Paesi del Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita, rapporti che in quel momento stavano andando a gonfie vele. Davanti a quello che è successo i governi che volevano la normalizzazione con Israele non possono non dare qualche segnale di disapprovazione. L’Egitto si muove in questa direzione: ha un’opinione pubblica a cui deve rispondere. Israele ha issato la sua bandiera sul valico di Rafah dando segnali della volontà di rimanere lì per un lungo periodo: il fatto che l’Egitto non possa più avere una zona cuscinetto che diminuiva le possibilità di frizione tra forze armate del Cairo e di Tel Aviv non è positivo.

Quindi Israele sta facendo tutto quello che Hamas ha previsto che succedesse. Sta facendo vincere Hamas?

Assolutamente sì. Ed è paradossale che dopo il massacro indiscriminato del 7 ottobre Israele sia passata dalla parte del torto. Probabile che Hamas lo avesse messo in conto, perché questo è il tipo di reazione che Israele ha in situazioni simili: si affida alla violenza. Ad essa segue un periodo di pseudo-stabilità, poi succede qualcosa di eclatante che riporta tutto indietro. La situazione al confine con l’Egitto potrebbe non essere più di pace e non so se Israele abbia presente quali responsabilità comporterà governare la Striscia. Sharon, uno dei falchi della destra israeliana, si era liberato di Gaza. Adesso che Netanyahu dovrà prenderla in carico, perché dubito che altri Paesi o la comunità internazionale vogliano farlo, la situazione è diventata ingestibile: parliamo di fame, malattie, infrastrutture inesistenti. Tutto questo ricadrà come responsabilità su Israele.

Israele deve fare i conti con la situazione interna: qui troviamo 900 famiglie che chiedono di non far combattere i loro figli a Rafah, ma anche ministri che parlano di insediamenti a Gaza, estremisti che portano la bandiera israeliana alla moschea di Al Aqsa e altri che bloccano gli aiuti umanitari per la Striscia. Il Paese è sempre più spaccato?

È un aspetto ulteriore della trappola in cui è caduta Israele. Il 7 ottobre aveva probabilmente come ulteriore obiettivo quello di estremizzare ancora di più la società israeliana. Per questo preoccupa quello che stanno facendo i coloni in Cisgiordania: il secondo fronte di cui dovrà occuparsi Israele sarà probabilmente proprio questo.

(Paolo Rossetti)

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