Un’operazione verità sul Covid. È quanto chiedono dieci studiosi dopo aver ricostruito i 10 errori gravi commessi nella lotta contro il coronavirus. E per fermare l’epidemia occorrerebbe intervenire con urgenza su 10 dossier, su cui si è consumata la “Caporetto del governo”, ritenuti strategici: tamponi di massa, scuole in sicurezza, dati epidemiologici accessibili, tracciamento, assembramenti e sanzioni, terapie intensive, distanziamento sui mezzi pubblici, vaccini antinfluenzali, medicina del territorio, Covid hotel. “I sacrifici degli italiani, reclusi per due mesi fra marzo e aprile, sono stati gettati alle ortiche”: si apre così il documento, che alla fine lancia un messaggio: “Noi pensiamo che quello che non è stato fatto fra maggio e ottobre debba assolutamente essere fatto ora”, ma “serve un impegno solenne del governo centrale ad attuarle in tempi brevi e certi. Serve un cronoprogramma che specifici costi, strumenti, fasi di avanzamento, date di conclusione. Perché il rischio che corriamo è grande”. Su quali punti occorre fare maggiore chiarezza per avviare questa operazione verità? “Uno su tutti – risponde uno dei dieci promotori, Paolo Gasparini, docente ordinario di Genetica all’Università di Trieste e direttore del dipartimento di Diagnostica avanzata dell’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste –: la confusione dei ruoli e delle responsabilità regionali e nazionali”.



Perché è così prioritario?

Abbiamo dato alle regioni poteri sulla sanità, ma nel momento in cui è arrivata un’epidemia, cioè un evento che non riguarda una regione o diverse regioni ma l’intero paese né tanto meno che rispetta i confini geografici, perché un virus circola liberamente nell’aria, abbiamo scoperto che il re è nudo: ogni regione è andata per la sua strada, anche con iniziative prive di logica. Basta vedere il problema dei trasporti, gestiti a livello regionale, se non addirittura comunale, spesso anche da società partecipate private. Come può il governo centrale imporre alcunché? È il vero nodo: un’eccessiva frammentazione, sembriamo tornati al Granducato di Toscana.



Perché nel documento si parla di “Caporetto del governo”?

Anche il governo ci ha messo del suo, ha commesso errori. Ma va anche riconosciuto che in questa frammentazione è difficilissimo coordinare qualcosa che non è coordinabile. La definirei più una Caporetto dello Stato. Ecco, l’operazione verità dovrebbe in parte servire a ridisegnare i compiti dello Stato.

“I sacrifici degli italiani, reclusi per due mesi fra marzo e aprile, sono stati gettati alle ortiche”. Qual è stato l’errore più marchiano?

La convinzione da parte di tutti che ne saremmo usciti. E poi, le Regioni che non si sono preparate a questa seconda ondata: penso, per esempio, all’acquisto di reagenti. La sanità sta facendo sforzi impressionanti, ma si è trovata ancora una volta abbastanza impreparata a questa ondata, che comunque viene globalmente gestita meglio rispetto alla prima.



C’è chi propone di fare dei lockdown mirati. Che ne pensa?

Oggi bisognerebbe chiudere alcuni territori, altri no, come hanno fatto all’estero. Invece in Italia parlare di lockdown parziali, mirati, chirurgici sembra un’eresia.

“Noi pensiamo che quello che non è stato fatto fra maggio e ottobre debba assolutamente essere fatto ora”. Intanto l’Italia scivola verso lo scenario 4, il più grave. Serve un lockdown per resettare tutto e far sì che possano essere messe in campo con urgenza le misure necessarie?

Una sola cosa serviva davvero, ma non è mai stata fatta, per colpa delle Regioni e per la mancata imposizione del governo: il tamponamento di massa, l’unica misura in grado di garantire un tracciamento efficace. E poi c’è il problema di Immuni: pensi che in Qatar hanno l’equivalente dell’app Immuni, che deve essere obbligatoriamente attiva per poter entrare anche al supermercato a fare la spesa.

La diffusione dei dati viene giudicata carente. Anche in questa seconda ondata vengono comunicati gli stessi numeri della prima. Vengono omesse informazioni importanti?

Nel bailamme dei dati, visto che ogni regione li raccoglie a modo suo o esegue i test come meglio crede, mancano numeri precisi, utili per elaborare una strategia di controllo come hanno fatto nei paesi asiatici. Altrimenti è impossibile.

Può citare un esempio concreto?

I dati sui tamponi. Così come si comunicano oggi confondono solo le idee. C’è, per esempio, chi ne esegue due: vogliamo allora ripulire il database per dire finalmente quanti tamponi corrispondono a nuovi casi? I casi non possono essere calcolati in base al numero di abitanti? E se uso test diversi, con diversa sensibilità, perché non si comunicano i numeri esatti? E ancora: tendenzialmente cerchiamo di inseguire i contatti dei positivi, ma così facendo “arricchiamo” i positivi, perché i contatti dei positivi hanno molte più probabilità di esserlo di una persona normale. Perché invece non si prendono mille persone a caso nella popolazione e si misura la presenza di positivi, sintomatici e asintomatici?

Tempo fa avevate stimato in 6 milioni gli italiani contagiati dal virus. Oggi?

Avevamo elaborato stime sulla base di soggetti positivi agli anticorpi a fine marzo/aprile, poi abbiamo effettuato una nuova campionatura a luglio, dimostrando una caduta degli anticorpi, per cui in quel momento avremmo avuto, con la stessa campionatura, un numero di positivi risibile. Adesso i numeri stanno crescendo e fra qualche mese faremo una nuova analisi per avere l’idea di quante nuove persone avranno sviluppato anticorpi, entrando in contatto con il virus, indipendentemente che siano stati asintomatici, paucisintomatici o sintomatici.

A proposito di asintomatici e paucisintomatici, sono anche loro super-diffusori perché hanno cariche virali altissime?

Ce ne sono alcuni che sono sicuramente super-diffusori e molti che non lo sono affatto. Affermare che gli asintomatici non sono pericolosi è falso, così come è falso affermare che siano tutti per definizione degli untori.

Secondo alcuni studi gli anticorpi durano solo 3 mesi: questo può spiegare il fenomeno delle reinfezioni?

Una caduta degli anticorpi indica che non sono più in circolo, ma non significa che il soggetto non rimanga immune, perché tutti noi potremmo avere le cellule memoria che appena entrano in contatto con il virus immediatamente cominciano a produrre anticorpi. A favore di questa ipotesi abbiamo due dati: il primo, il numero delle reinfezioni nel mondo è al momento davvero minimo, si parla di una decina di casi riportati; il secondo: dai dati della regione Lombardia sembrerebbe che oggi i contagiati nella provincia di Bergamo siano assai meno di quelli, per esempio, di Milano, Monza o Varese, proprio perché probabilmente gran parte di quella popolazione è ancora immune dopo la devastante infezione della prima ondata.

L’epidemia è fuori controllo?

No, non penso proprio, sebbene sia un’ondata pesante. Certo è che bisogna fare qualcosa di più serio che chiudere bar e ristoranti alle 18.

Per esempio?

Tamponare il più possibile, anche con i test rapidi da usare a man bassa, e far rispettare le regole su mascherine, distanziamento e divieto di assembramento. Già questo permetterebbe oggi di rallentare pesantemente i contagi. In terzo luogo, supportare al massimo la medicina territoriale, dotandola di Dpi e di saturimetri, per evitare che un sacco di persone che non ne hanno bisogno vadano a intasare i pronto soccorso.

(Marco Biscella)

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