Ieri mattina Unicredit ha annunciato il lancio di un’offerta pubblica di scambio volontaria su Banco Bpm. L’offerta prevede il corrispettivo di 0,175 azioni di nuova emissione di Unicredit per ogni azione Bpm posseduta. Secondo l’ad di Unicredit, l’offerta non doveva essere considerata una sorpresa particolare, eppure, prima di ieri, tutto sembrava indicare un altro destino per Banco Bpm. La terza banca italiana, infatti, due settimane fa annunciava l’acquisto del 9% di Monte Paschi, il 5% direttamente e il 4% tramite Anima, dopo aver gestito in solitaria il collocamento di una quota del 15% della banca senese detenuto dal ministero dell’Economia. Tutto quindi indicava la nascita di un terzo polo bancario in Italia, dopo Intesa e dopo Unicredit, basato su un’alleanza tra Bpm e Monte Paschi agevolata proprio dal Governo italiano.



L’Ops di Unicredit arriva quindi inaspettata, anche perché la banca guidata da Andrea Orcel è impegnata sul dossier Commerzbank. Nella conference call di presentazione dell’offerta il manager ha però precisato di essere un investitore finanziario della banca tedesca e ha poi aggiunto che procederà su Commerzbank solo a certe condizioni che richiedono un cambio di posizione di alcune controparti. Tra queste controparti c’è il Governo tedesco, che non sembra particolarmente favorevole a un’integrazione. Il parere del Governo italiano, nel caso di Bpm, sembra invece dato per scontato o non dirimente oppure l’opposizione al progetto, se di questo si tratta, non così insuperabile. Forse, infine, dentro il Governo convivono “sensibilità” diverse.



Nel settore bancario non ci si muove senza il consenso dei governi e questo assunto viene confermato, se mai ce ne fosse bisogno, anche dal tentativo di Unicredit di comprare una banca tedesca. È inevitabile quindi chiedersi cosa pensi il Governo italiano di quanto accaduto ieri. Il primo a intervenire è stato il ministro dell’Economia. Giorgetti ha specificato che l’operazione non è concordata, per poi aggiungere che esiste la golden power e che il Governo farà le sue valutazioni. Sono dichiarazioni che esprimono una contrarietà all’operazione. È lecito chiedersi se ci sia una posizione unita della compagine governativa perché, a ieri sera, nessun’altra voce del Governo (a parte Salvini e lo stesso Giorgetti) si era levata. Dunque, fino a prova contraria, tutto il governo è d’accordo.



Un’operazione tra la seconda e la terza banca italiana che rischia di ridisegnare profondamente il mercato del credito in Italia non è una questione meramente economica, ma di politica industriale e riguarda il Governo in quanto tale. Non vale nemmeno l’obiezione che ci debba pensare il mercato; non funziona così in nessun posto del mondo, dagli Stati Uniti in giù, passando per la Germania di Scholz. L’Italia, storicamente, è un’eccezione in cui la politica industriale sul mercato del credito ha fatto a meno di un coordinamento del Governo (val la pena, en passant, notare che la nuova aggregazione sarebbe vista favorevolmente da Mario Draghi, assomigliando molto alle banche più grandi che l’ex presidente Bce chiede all’Europa per essere “competitiva”).

Dal punto di vista del sistema-Paese la priorità è avere banche che sappiano mettersi sulla stessa lunghezza d’onda del sistema industriale. Unicredit è una banca proiettata verso una dimensione europea. È lecito chiedersi quale garanzie offra questo soggetto per il territorio ora occupato da Banco Bpm. In un ipotetico merger europeo non ci può essere alcuna garanzia sulla sede ed è inevitabile chiedersi quale priorità venga data al tessuto imprenditoriale di un Paese in difficoltà non foss’altro per la sua bolletta energetica.

La carta d’identità degli azionisti è importante, ma non è un’obiezione a prescindere. Il primo azionista di Bpm è Credit Agricole; se l’operazione “di sistema” tra Bpm e Mps non c’è più e se Unicredit è “poco italiana” e non offre garanzie sul medio termine al territorio, a questo punto il Governo italiano potrebbe parlare con tutti e vedere chi “offre di più” per il sistema-Paese.

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