Per la ripartenza dal 18 maggio c’è accordo pieno tra governo e Regioni. La conferma è arrivata ieri dal presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini. L’orientamento è chiaro: avere linee guida omogenee per una riapertura sicura delle attività economiche. Ma le Regioni avranno anche una certa autonomia, dovendo monitorare l’andamento dell’epidemia di coronavirus nei territori e decidere tra allentamenti e restrizioni in base proprio ai criteri concordati. Per questo motivo già in queste ore, dopo il nuovo decreto legge, stanno uscendo diverse ordinanze regionali, importanti per regolare la vita dei cittadini dal 18 maggio in poi, quando scatterà la cosiddetta “Fase 2 b”, quella della convivenza con il coronavirus. Le Regioni hanno la facoltà di stabilire quali attività possono aprire o quali chiudere in base ai dati tecnici raccolti ogni giorno, sulla base dei protocolli regionali correlati alle linee guida nazionali omogenee e condivise. Queste linee di indirizzo riguardano ristorazione, attività turistiche, strutture ricettive, servizi alla persona, commercio al dettaglio, piscine, palestre, uffici aperti al pubblico, manutenzione del verde, musei archivi e biblioteche.



ORDINANZE REGIONALI PER RIAPERTURE: POTERI E COMPETENZE

La possibilità per le Regioni di intervenire ognuna per conto proprio non era una soluzione gradita da tutti i governatori. Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, aveva chiesto di arrivare a un protocollo condiviso, ma molti presidenti di regione hanno già anticipato le proprie ordinanze. Ad esempio, Friuli Venezia Giulia e Veneto erano per riaperture a macchia di leopardo. Le singole Regioni possono ampliare o limitare gli orari di apertura delle attività in base all’andamento dei contagi di coronavirus. E infatti sono già attese le ordinanze che regoleranno la “Fase 2 b” nei singoli territori. Se dovessimo usare una metafora calcistica per spiegare la strategia adottata, allora dovremmo citare lo schema a tre punte. C’è il decreto legge, poi Dpcm e quindi le ordinanze regionali. Questo l’assetto che permette ai governatori di introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive rispetto a quelle nazionali, fermo restando che lo Stato può intervenire se dovessero emergere numeri preoccupanti. Ma anche i sindaci avranno un ruolo: ad esempio, potranno chiudere temporaneamente le aree pubbliche dove non sarà possibile garantire il rispetto della distanza di sicurezza.

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