Una ricerca scientifica condotta in Cina ipotizza che il Covid sia nato in un mercato ittico di Wuhan e che il contagio sia avvenuto tramite cani procione, ma i dati pubblicati su un database internazionale sono misteriosamente scomparsi. Un altro giallo in merito all’origine della pandemia, che ha spinto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ad accusare la Cina di nascondere dati utili che potrebbero avvalorare la tesi dell’origine naturale di Sars-CoV-2. Infatti, ha chiesto ai funzionari cinesi il motivo per il quale quei dati, che non sono stati resi disponibili tre anni fa, ora risultano scomparsi. Prima che sparissero, un team internazionale di esperti di virus aveva scaricato e cominciato ad analizzare tale ricerca, apparsa online a gennaio. Come evidenziato dal New York Times, tale lavoro sostiene l’ipotesi che la pandemia sia cominciata quando i cani procione, commercializzati illegalmente, hanno infettato gli esseri umani in un mercato ittico di Wuhan. Le sequenze geniche sono state rimosse dal database scientifico dopo che gli esperti si sono offerti di collaborare all’analisi con le controparti cinesi. «Questi dati avrebbero potuto e dovuto essere condivisi tre anni fa», tuona Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. E chiede che le prove mancanti vengano «condivise con la comunità internazionale immediatamente».



La ricerca offriva la prova che i cani procione hanno lasciato tracce di Dna nello stesso punto del mercato di Wuhan, in Cina, dove sono state scoperte le firme genetiche del Covid. Per alcuni esperti, questa scoperta suggerisce che possa essere questo l’animale del salto di specie, quindi potrebbero essere stati infettati e aver poi trasmesso il virus Sars-CoV-2 agli esseri umani. Il team che aveva cominciato ad esaminare tale lavoro non ha ancora pubblicato un documento che illustra i risultati, ma ha consegnato una prima analisi ad un gruppo consultivo dell’Oms che smentisce le precedenti affermazioni degli scienziati cinesi, secondo cui i campioni prelevati al mercato e risultati positivi al coronavirus sarebbero stati trasportati solo da persone malate. «È molto improbabile vedere una tale quantità di Dna animale, soprattutto di cane procione, mescolato a campioni virali, se si tratta semplicemente di contaminazione umana», dichiara al NYT Sarah Cobey, epidemiologa e biologa evolutiva dell’Università di Chicago, non coinvolta nella recente ricerca. Restano, pertanto, interrogativi su come sono stati raccolti i campioni, su cosa contenevano esattamente e sul motivo per cui le prove sono scomparse. Alla luce di tali ambiguità, molti scienziati hanno reagito con cautela, affermando che è difficile valutare la ricerca senza vedere un rapporto completo.



COVID DA CANI PROCIONI? IL GIALLO DELLA RICERCA RIMOSSA…

Per alcuni esperti di virologia non coinvolti in questo studio, le conoscenze sui tamponi raccolti al mercato di Wuhan rafforzano la tesi che gli animali venduti lì abbiano scatenato la pandemia Covid. «È esattamente quello che ci si aspetterebbe se il virus emergesse da un ospite intermedio o da più ospiti intermedi nel mercato. Credo che dal punto di vista ecologico questo sia un caso quasi chiuso», ha dichiarato la dottoressa Cobey, che è uno dei 18 scienziati che aveva firmato una lettera pubblicata su Science nel maggio 2021 per esortare a prendere in seria considerazione l’ipotesi che il virus sia fuoriuscito da un laboratorio di Wuhan. Al New York Times ha ribadito che le fughe dai laboratori continuano a rappresentare un rischio enorme, ma ha anche precisato che le prove raccolte finora rafforzano la tesi dell’origine naturale del Covid, quindi dal mercato di Wuhan. D’altra parte, i nuovi dati genetici non escludono che un altro animale possa aver trasmesso il coronavirus alle persone o che qualcuno infettato possa averlo trasmesso ai cani procione. «Sappiamo che si tratta di un virus promiscuo che infetta diverse specie», ricorda David Fisman, epidemiologo dell’Università di Toronto, anch’egli firmatario della lettera pubblicata su Science del 2021.



«Dal punto di vista scientifico, [questo studio] non dimostra che i cani di procione siano la fonte, ma è certo che i cani di procione infetti erano presenti al mercato. Questo solleva ulteriori domande su ciò che il governo cinese sa veramente», aggiunge Jeremy Kamil, virologo del Louisiana State University Health Sciences Center di Shreveport. C’è poi un’altra questione da non sottovalutare che è stata evidenziata dagli scienziati: non è chiaro se il materiale genetico del virus e quello dei cani procione siano stati depositati nello stesso momento dalla Cina. A seconda della stabilità del materiale genetico del virus e degli animali, ha detto Michael Imperiale, virologo dell’Università del Michigan, «potrebbero essere stati depositati in tempi potenzialmente molto diversi». Ma per il dottor Arturo Casadevall, immunologo presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health e coautore di un recente studio con il dottor Imperiale che esamina l’origine del Covid, il collegamento tra il materiale animale e quello virale rafforza comunque l’ipotesi di un evento di diffusione naturale, la zoonosi, «cioè l’idea che provenga da un animale al mercato». Infine, Theodora Hatziioannou, virologa della Rockefeller University, ritiene fondamentale che i dati grezzi vengano resi pubblici e crede «che al momento le prove siano schiaccianti a favore di un’origine di mercato». Infatti, i dati più recenti «rendono ancora più improbabile che questo sia iniziato da qualche altra parte».