Tutte le ipotesi sull’origine del coronavirus vanno indagate. Per il professor Giorgio Palù «la scienza non è un dogma», quindi bisogna interrogarsi «senza pregiudizi». Questo vuol dire tener presente che possa esserci stata una zoonosi o un incidente di laboratorio, ma anche che è fondamentale condurre un’indagine analitica e trasparente per arrivare alla verità. E infatti è quella che chiede il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nonché professore di Virologia all’Università di Padova, peraltro tramite uno degli appelli che stanno lanciando gli scienziati per un dibattito scientifico obiettivo e aperto sull’origine del Covid. Lo dimostra la lettera pubblicata su The Lancet e firmata da 16 scienziati, secondo cui «non ci sono prove scientificamente consolidate che supportino direttamente un’origine naturale del virus». I punti da chiarire sono diversi: dal progenitore di Sars-CoV-2 all’ospite intermedio, ancora non individuati. Non si conosce neppure il percorso che ha portato il coronavirus dallo Yunnan a Wuhan, senza dimenticare che vi sono nel genoma caratteristiche insolite per le quali non si può escludere che derivi dall’ingegneria genetica.
PALÙ “VIRUS PRESENTA ANOMALIE”
Si tratta di criticità che il professor Giorgio Palù conosce bene, infatti nel mese di giugno con altri 30 colleghi aveva inviato una open letter alla stampa internazionale, fornendo suggerimenti pratici ma chiedendo soprattutto un’indagine completa sull’origine della pandemia, «possibilmente con la collaborazione della Cina che finora non c’è stata». Non si tratta solo di una questione di verità, ma anche un’occasione per mettere al sicuro le generazioni future. Palù ha precisato che «al momento non ci sono prove certe che pendono da una parte o dall’altra», ma – come riportato dal Corriere – ha evidenziato anche che «è indubbio che questo virus presenta anomalie rispetto a un virus naturale». Le ipotesi, dunque, sono rimaste tutte sul tavolo, anche quella della fuga dal laboratorio, sostenuta nel libro “L’origine del virus“, frutto di un’inchiesta di Paolo Barnard, co-fondatore di Report, in collaborazione con Steven Quay, fondatore dell’Atossa Therapeutics e già docente di Medicina alla Stanford University, e Angus Dalgleish, professore di Oncologia presso l’Istituto di ricerca di malattie infettive e immunitarie della St George’s University of London.
LE IPOTESI: DALLE MODIFICHE ALL’INCIDENTE
I tre non avevano escluso modifiche ingegneristiche che non abbiano lasciato tracce. E Giorgio Palù ha confermato: «Con la tecnica Crispr Cas 9 sono effettivamente possibili modifiche di gain of function senza lasciare alcun segno». Si guarda bene però dal demonizzare queste pratiche che sono discusse, perché «sarebbero molto utili all’umanità», a patto però di effettuarle in laboratori sicuri e in trasparenza, con verifiche periodiche. Così come non si può escludere l’ipotesi dell’incidente di laboratorio. «In tutti i laboratori del mondo sono successi errori, anche negli Stati Uniti o in Europa. Come indicano anche gli autori del libro, non si deve per forza pensare a casi di frode o di dolo», il commento Palù. Ha anche citato la vicenda delle sei fiale col virus del vaiolo dimenticate nel 2014 in una scatola all’Fda, «o quando l’H5N1 (aviaria) era stato lasciato in un laboratorio non protetto, o le spore di botulino dimenticate su un tavolo».