Le conversazioni private tra scienziati di alto livello nel 2020 sul Covid sono state rivelate e hanno scatenato un’ondata di indignazione per il possibile insabbiamento sul laboratorio di Wuhan, inasprendo il dibattito su integrità e sul metodo scientifico, oltre che sull’origine Covid. La vicenda è ormai nota, ma si sta arricchendo di particolari. Ne ha parlato il Times, partendo dal 31 gennaio 2020, quando Anthony Fauci, all’epoca direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases degli Usa, si confrontò con altri scienziati preoccupati: temevano che l’origine del coronavirus non fosse naturale, bensì ingegnerizzato. In una e-mail a Jeremy Farrar, direttore del Wellcome Trust, Fauci suggerì di convocare un gruppo di biologi evolutivi «al più presto» per indagare, pronto per informare FBI e MI5, se fosse emerso qualcosa di sospetto. Il giorno successivo biologi americani, britannici e australiani si riunirono: crearono un canale sul sistema di messaggistica Slack.
«La questione principale è che la fuga accidentale è altamente probabile, non si tratta di una teoria marginale», dichiarò Kristian Andersen, dello Scripps Research Institute in California, il 2 febbraio, aggiungendo che una particolare caratteristica del coronavirus, nota come sito di scissione della furina, «è molto difficile da spiegare». Più di due settimane dopo Andrew Rambaut, biologo dell’Università di Edimburgo, dichiarò: «Mi sono letteralmente rigirato giorno per giorno pensando che si trattasse di una fuga dal laboratorio o di un fenomeno naturale». Un mese dopo pubblicò un articolo scientifico diventato tra i più influenti sulla pandemia, intitolato “The proximal origin of Sars-Cov-2” (L’origine prossimale del Sars-Cov-2), sostenendo che il virus non era stato ingegnerizzato: «Non riteniamo plausibile alcun tipo di scenario basato sul laboratorio».
“LABORATORIO DI WUHAN? PUZZA DI BRUCIATO”
Un cambio di rotta che ha portato a parlare di «insabbiamento di Covid». Lo fa fatto la rivista National Review, il Wall Street Journal di «inganno del laboratorio Covid», The Australian invece di «ricerca segreta, spin, cover-up», mentre per la sottocommissione repubblicana si è trattenuto un «tentativo coordinato di uccidere la teoria della fuga di notizie dal laboratorio» e di «anatomia di un insabbiamento». Per Edward Holmes, professore di virologia all’Università di Sydney e membro fondatore del canale Slack, è stata una «follia». La pubblicazione dei messaggi ha mostrato uno spaccato dei primissimi giorni della risposta scientifica alla pandemia.
Così si è scoperto come interloquivano tra loro gli scienziati, che si davano dei soprannomi e, ad esempio, ridevano del consulente scientifico del film Contagion che, parlando della pandemia racconta di essersi ammalato di Covid e di essere «infelice». Holmes ora si difende: «I messaggi su Slack mostrano un gruppo di scienziati che fa il proprio lavoro». Comunque, quando è stato creato il gruppo Slack, gli scienziati erano davvero preoccupati, per tutti gli scenari. Rambaut in merito alla vicinanza del laboratorio di Wuhan all’epicentro «puzza di bruciato» e metteva in guardia dallo «spettacolo di merda che si scatenerebbe se qualcuno di serio accusasse i cinesi di un rilascio anche solo accidentale».
“NON SMENTITA INFEZIONE ACCIDENTALE IN LABORATORIO”
Holmes, dal canto suo, si è chiesto perché il mercato sia stato pulito prima di essere sottoposto a un tampone. Il 3 febbraio dichiarò: «Sono turbato… [è] come minimo un grosso e sanguinoso errore». Dopo aver accumulato prove per il loro documento, valutando se le caratteristiche del Covid potessero o meno essere spiegate attraverso l’evoluzione naturale, lo scrissero e sottoposero alla rivista Nature, ma fu respinto dai revisori perché, secondo loro, dovevano essere meno equivoci. Nella versione successiva, quella definitiva, lo sono stati. I messaggi di Slack rivelano che ne avevano motivo.
Il 24 febbraio erano emersi nuovi dati che dimostravano, a loro avviso, che le caratteristiche sconcertanti del virus potevano verificarsi in natura. «Ora sono decisamente a favore di un’origine naturale», scriveva Holmes. Ma la fuga dal laboratorio può voler dire qualsiasi cosa, non necessariamente la fuoriuscita di un virus ingegnerizzato. «Niente di tutto questo smentisce un’infezione accidentale in laboratorio», commentò Andersen. Il Times ha interpellato altri virologi per un commento sulla corrispondenza, ma molti si sono rifiutati di parlare. Uno ha detto che la questione era diventata «molto delicata e cruda».