LA CRITICA DI ANDREA ORLANDO AL PD: “DOBBIAMO CAMBIARE, NON SOLO IL NOME”
Non è solo una critica alla gestione delle ultime segreterie del Partito Democratico, quella dell’ex Ministro Andrea Orlando è una “decostruzione” alla base di tutti gli ultimi anni di gestione del Pd su scelte, tematiche, battaglie e tornate elettorali. Nella lunga intervista a “Il Riformista”, uno degli storici leader della corrente “Dems” (uno sottogruppo della maxi corrente Ala Sinistra, tra le più radicali all’interno del Partito Democratico) riflette sulle prossime Primarie del 26 febbraio, augurandosi che possa riuscire vincitrice la candidata sostenuta da Orlando, Elly Schlein (con lui anche Provenzano, Zingaretti, Letta, Boldrini e soprattutto Franceschini).
«L’identità del Partito Democratico, nel corso di questi anni, è stata spesso risolta con il tema della responsabilità, cioè di una forza che si fa carico della tenuta del sistema, con tutte le sue virtù, quelle di una democrazia liberale, ma anche con tutti i limiti. Questa identità ha finito per essere sovrapposta appunto alla difesa dell’establishment», sentenzia Orlando dalle colonne del “Riformista”, aggiungendo l’affondo sul temi sociali ed economici ritenuti “sottovalutati” dalla gestione degli ultimi Pd. «Non si è mai, soprattutto sui temi economici e sociali, raggiunto un punto di equilibrio, una sintesi compiuta tra valorizzazione della dimensione di continuità e elementi di cambiamento. Questa lacuna è stata risolta spesso con la rimozione del problema, non è un caso che il PD si sia caratterizzato di più su temi su cui invece una sintesi era stata raggiunta, penso soprattutto appunto alla difesa della qualità della democrazia, alla promozione dei cosiddetti diritti civili»: secondo l’ex Ministro del Lavoro e della Giustizia nei rispettivi Governi Draghi, Gentiloni-Renzi, costruire una nuova identità presuppone «la costruzione di parole in grado di essere il riferimento per il riscatto di settori della società». Per questo Orlando propone il cambio del nome per il Pd, ovvero Partito del Lavoro: «Anche tutti quelli che hanno negato l’esigenza di un cambio di nome o lo hanno derubricato a questione di forma, sono stati poi costretti però in queste prime battute del congresso a confrontarsi con questi temi. Segno che il problema esiste e che non aver costruito un rapporto strutturato con il lavoro ha coinciso con il non essere riusciti a costruire un rapporto con la società».
ORLANDO: “PD HA SBAGLIATO A PORSI SEMPRE AL GOVERNO COME FORZA DI STABILITÀ”
Tra i tanti errori compiuti dal Pd, rileva ancora Andrea Orlando, è quello di essersi intestato una serie di Governi “di coalizione”, o “di unità nazionale” negli ultimi anni: nel Governo Monti e nel Governo Draghi, «il Pd non si è posto come una forza che faceva un ragionamento onesto con i suoi elettori: questo è un governo di coalizione, noi abbiamo questi obiettivi, questi obiettivi non sono tutti perseguibili, ma ci concentriamo su almeno una parte di essi e faremo battaglia fino in fondo perché possano essere realizzati. Se fai invece diventare la stabilità, la tenuta del governo in quanto tale, l’obiettivo prioritario, è del tutto evidente che anche quando poni una questione lo fai con una riserva mentale e con la disponibilità a soprassedere, non appena si incrociano delle difficoltà».
Secondo l’ex Ministro Orlando il problema per i Dem è stata quella “doppia anima” interna che ha caratterizzato il Pd negli ultimi anni: «Il Pd non ha sciolto esattamente il nodo su quali settori della società vuole rappresentare e con chi parlare e questo inevitabilmente si riflette anche su una difficoltà di esprimere, sui diversi passaggi, un giudizio che sia netto. C’è chi lamenta anche nel dibattito congressuale il fatto che gli esponenti del PD non sappiano esprimere un giudizio se non attraverso una serie di circonlocuzioni». La stangata di Orlando è netta in quanto il Partito Democratico, a suo dire, non è ancora stato in grado di risolvere i vari nodi esistenti tra le diverse anime del Pd: «il nodo del rapporto tra stato e mercato, tra individuo e comunità e questo non può che pesare anche nel modo in cui stai al governo».