Jj4, colpita e affondata. Non è una battaglia navale: è la conclusione della caccia all’orso, o meglio all’orsa, appunto la Jj4 (di origini slovene, quarta nata da Joze e Jurka, da qui la sigla), quella che il 5 aprile scorso ha aggredito e ferito mortalmente il runner Andrea Papi, nel bosco sopra Caldes, comune di mille anime della Val di Sole, provincia di Trento. L’orsa è stata catturata l’altra notte, poco distante da quel bosco, nella zona forestale della Val Meledrio, grazie alle fototrappole sparse nel territorio, peraltro quasi tutte distrutte dalla stessa orsa, che si è confermata particolarmente aggressiva, forse anche per l’istinto protettivo verso i suoi tre cuccioli (ognuno del peso di circa 40 chilogrammi). “È una notizia che avremmo voluto dare nel 2020, quando già chiedevamo di catturare Jj4 – ha detto Maurizio Fugatti, Presidente della Provincia autonoma -. Oggi c’è soddisfazione, ma anche tanta amarezza e tristezza per quanto accaduto nel frattempo”. Adesso l’orsa assassina è confinata nel centro faunistico del Casteller di Trento (che già detiene M49, l’orso papillon, più volte catturato ed evaso), in attesa delle decisioni dei giudici del Tar di Trento, che si devono esprimere sull’abbattimento stabilito da Fugatti e sui ricorsi piovuti dalle associazioni animaliste.



Un passo indietro. Gli orsi, fino al Duemila, erano scomparsi dai nostri monti. Nel ’96, però, con un finanziamento dell’Unione europea, partì il progetto Life Ursus, per “la tutela della popolazione di orso bruno del Brenta”, popolazione però all’epoca di fatto inesistente. Il progetto (concluso nel 2004) fu promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (ISPRA). Fu deciso quindi di reintrodurre nove orsi sul Brenta (3 maschi e 6 femmine di età tra 3 e 6 anni) per ricreare in 20-40 anni una popolazione di 40-50 esemplari, destinati al Trentino occidentale e le province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona. Nel ’99 furono liberati i primi due esemplari, Masun e Kirka. Altri otto tra il 2000 e il 2002. “Il progetto – sostiene il sito del parco naturale Adamello-Brenta – ha anticipato la spontanea ricomparsa dell’orso in territorio italiano. Ciò ha contribuito al rinsaldamento tra le popolazioni ursine presenti e in espansione sull’Arco Alpino centro-orientale”. Oggi gli orsi si sono moltiplicati oltre ogni previsione: tra il 2015 e il 2021 la popolazione ha mostrato un tasso di accrescimento dal valore medio annuo del 10,3%. Ma non esiste nemmeno una stima precisa: si parla di circa cento. I radiocontrolli inseriti nei collari sono stati in larga parte distrutti dagli stessi orsi, quindi il loro censimento, per non dire della geolocalizzazione, diventano problematici.



Adesso però il problema è diventato di sicurezza pubblica. E sta generando preoccupazioni sia per i residenti delle comunità, sia per l’economia dei territori, in parte legata al turismo. Perché in Val di Sole, dove i vacanzieri estivi vanno proprio per le passeggiate nei boschi, stanno arrivando le prime disdette. “Il turista ha paura dell’orso come ha paura il contadino nel mandare il figlio di dieci anni al pascolo a guardare se le capre o le pecore stanno bene”, sostiene Reinhold Messner, l’alpinista “re degli Ottomila”, puntando il dito contro gli ambientalisti che hanno ostacolato la politica a prendere provvedimenti già in passato.



“È vero che siamo una Provincia autonoma – ci dice Massimo Baggia, imprenditore e assessore del Comune di Malè, in Val di Sole -, ma le competenze in materia di fauna e tutela del territorio possono essere limitate”. Così il Trentino sta subendo da una parte il boicottaggio degli animalisti (che si coagulano attorno a un hashtag dedicato) e dall’altro la spinta della popolazione e degli operatori del turismo per ottenere maggiori sicurezze. “La realtà – continua Baggia – è che adesso c’è una paura diffusa, c’è incertezza. Qui il bosco fa parte degli abitati, è di tutti: ogni anno si estraggono i nomi ai quali affidarne determinate porzioni per lo sfruttamento delle sue risorse, come il legname. Noi viviamo un turismo fatto soprattutto di ambiente, se l’ambiente non è sicuro crolla tutto. È una situazione che bisogna risolvere al più presto. Il progetto di ripopolamento degli orsi era nato con regole scientifiche, in teoria bisognava raggiungere un numero predefinito di esemplari, e trasferire altrove i sovrannumerari, magari in zone poco antropizzate. Il nostro è un territorio piccolo, e nelle stagioni turistiche si affolla. Gli orsi oggi sono semplicemente troppi e non consentono sicurezza, anche nei periodi di presunto letargo. La Forestale ha ricominciato un censimento, ma non è semplice. Nell’attesa dei trasferimenti indispensabili, i consigli per gli escursionisti sono sempre quelli di seguire i tracciati più marcati in orari diurni. I sindaci si stanno muovendo in sintonia, cercando di arrivare al più presto a soluzioni praticabili. Oggi la priorità è la tutela dell’uomo, non dell’orso, e nemmeno dei lupi, che non sono stati introdotti, ma che si sono moltiplicati nel corso degli anni, minacciando gli allevamenti e i pascoli delle malghe”.

La situazione sta alimentando inevitabili polemiche. Nel mondo animalista e ambientalista si sono assunte posizioni molto radicalizzate e intransigenti, ma anche altre più razionali. “Io faccio spesso l’esempio dell’Abruzzo – ci commenta Alfonso Pecoraro Scanio, già presidente dei Verdi, ex ministro all’Agricoltura, e poi all’Ambiente e alla tutela del territorio e mare, oggi presidente della fondazione Univerde -, una regione dove esiste un rapporto uomo-natura invidiabile, dove perfino la convivenza con gli orsi non reca problemi, come invece accade in altri territori, che non hanno saputo governare la vicinanza. Credo che il problema degli orsi in Trentino stia proprio nell’inadeguatezza della Regione a governare il fenomeno, a delimitare le zone, a porre tutti gli avvisi necessari per garantire la sicurezza degli escursionisti. In più, adesso si vorrebbe risolvere il problema con gli abbattimenti, decisi a livello politico, mentre invece bisognerebbe basarsi solo sulle evidenze scientifiche, quelle dell’ISPRA, l’ente che può stabilire il grado di pericolosità degli esemplari e indicare quindi le soluzioni possibili, come il confinamento dei capi più problematici o il trasferimento di quelli in eccesso in altre zone. Un passaggio, quest’ultimo, che però dovrebbe essere preceduto da contatti e mediazioni con altri territori, sia italiani che stranieri, che però il Trentino non ha mai coltivato. L’abbattimento è un’extrema ratio da evitare, un fallimento. Lo zooparco di Fasano s’è già detto disponibile ad accogliere Jj4, perché ignorare anche quella possibilità?”. 

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