È il pomeriggio del 5 aprile 2023. Un runner si avventura nei boschi limitrofi a Caldes, in Tentino. Al rientro, la sua corsa termina in un incontro imprevisto, fatale, con un’orsa e i suoi 3 cuccioli. Entrambi colti di sorpresa, entrambi probabilmente vinti da una reazione istintiva. Quella curva, per il ragazzo, resta l’ultima curva della sua vita, e quell’incontro, l’ultimo incontro della sua esistenza. L’orsa JJ4, identificata tramite analisi genetiche, è stata successivamente catturata con un’apposita trappola a tubo e verrà probabilmente soppressa; restano invece buone possibilità di sopravvivenza per i cuccioli, di circa 2 anni di età, che erano prossimi allo svezzamento.



Preme immediatamente scindere il dolore e lo sconcerto per il dramma della morte dal contesto in cui si inserisce tale dramma. Il lutto rimanga una seria vicenda personale, come ogni scomparsa, e non venga strumentalizzato dalla discussione, a tratti vergognosa, che si è protratta negli ultimi giorni. Occorre archiviare ogni sorta di reazione emotiva e accantonare considerazioni ideologiche prive o carenti di un bagaglio conoscitivo indispensabile per affrontare un argomento delicato. Ergendoci troppo spesso a sommi giudici del pianeta non possiamo dunque perdere l’occasione di guardare attentamente e comprendere i fattori in gioco, lasciandosi lealmente interrogare per una crescita personale e sociale nello sguardo verso la più originaria delle realtà, la natura. Gettiamo luce sulla situazione dell’orso in Trentino e sui relativi rischi per disporre di una base solida sulla quale, a noi piacendo, costruire un dialogo costruttivo.



Gli orsi non attaccano, si difendono

Prima del drammatico evento del 5 aprile, era almeno da 150 anni che non si verificava un decesso provocato dall’orso bruno in Italia. Secondo una pubblicazione scientifica, le aggressioni avvenute in Europa tra il 2000 e il 2015 sono state 291, 19 delle quali risultate letali. È necessario comprendere bene questi dati evitando conclusioni affrettate e allarmismi infondati. Innanzitutto, l’orso bruno è considerato un grande predatore e un grande carnivoro; viene inserito in queste categorie per le dimensioni e per una dentatura che, per quanto riguarda la classificazione, lo pone nell’ordine dei Carnivora.



In realtà, l’orso è onnivoro, con una dieta che per circa il 95% comprende erbe, frutti, funghi e invertebrati; la carne, prevalentemente carcasse, rappresenta una minima parte della sua alimentazione che, essendo un onnivoro opportunista, può essere integrata con facili prede come animali da reddito.

È chiaro, dunque, che un atteggiamento predatorio non spiegherebbe le aggressioni. L’orso, di per sé, non ha nessun motivo per sprecare energie preziose e tende ad evitare il contatto umano fuggendo alla prima occasione. Solamente in assenza di vie di fuga l’animale tenta di allontanare la minaccia inseguendola e cimentandosi in quello che viene definito “falso attacco”, un finto attacco a scopo di avvertimento. Spesso questa situazione genera comprensibile panico e sono noti diversi episodi in cui persone sono rimaste ferite per una fuga rocambolesca e non per il contatto diretto con l’animale.

La situazione si complica quindi solo in rari casi, per una concomitanza di sfortunati eventi o per atteggiamenti fuori luogo da parte di una persona; un orso, soprattutto se accompagnato da cuccioli, potrebbe difendersi fisicamente solo qualora non percepisse nessun altro modo di sopravvivere. Piaccia o meno, in questi casi infatti quello che conta è la percezione dell’animale, non il nostro intento. Si potrebbe anche provare a spiegargli che le nostre sono buone intenzioni, ma dubito possa capire la nostra lingua.

E noi? Noi disponiamo della libertà e dell’uso della ragione. Come ogni corso di sicurezza dovrebbe aver insegnato, in azienda o in alta montagna non esiste il “rischio zero” e stupirsene improvvisamente davanti ad un orso è poco credibile. Ciò che possiamo fare è però mantenere questo rischio il più basso possibile. Come? Conoscendo e agendo di conseguenza. Passeggiare in aree abitate da grandi carnivori non può essere la stessa cosa che passeggiare nel centro storico. I manuali sul da farsi in caso di incontro si sprecano, spesso dimenticando la difficoltà di agire con freddezza in momenti non di massima serenità; non correre, non urlare, non reagire e lasciare, appunto, sempre una via di fuga.

La vera arma resta però la prevenzione. Addentrarsi nella natura da soli, al di fuori dei tracciati, svolgendo determinate attività, essendo accompagnati da cani (magari senza guinzaglio) o non avendo le giuste conoscenze è sempre rischioso, e questo a prescindere dai grandi predatori. Zecche, cinghiali, vipere, cani randagi, valanghe, crepacci, temporali, strapiombi… e tutto senza dimenticare che neanche nel centro storico il rischio è zero.

Orso in Trentino: il successo di un progetto che divide

L’orso un tempo era presente in buona parte del territorio italiano, compreso l’intero arco alpino. Entro la prima metà del 900 scomparve quasi definitivamente dal Paese a seguito di persecuzione diretta e una progressiva perdita di habitat boschivi. Verso la fine degli anni 90, oltre alla piccola popolazione di orso bruno marsicano (dai più ritenuta sottospecie dell’orso bruno) che gravita tutt’ora intorno all’Appennino abruzzese, e ad alcune incursioni in Friuli-Venezia Giulia di individui provenienti dalle popolazioni balcaniche, in Italia l’orso bruno era presente nel Trentino occidentale, con soli 3-4 esemplari.

Nel 1996 nasce dunque “Life Ursus”, progetto finanziato dall’Unione Europea e volto a ricostituire una popolazione vitale di orso bruno nelle Alpi centrali, a rinforzo di quel nucleo residuo sulle montagne del Brenta. Il ritorno di questa affascinante specie rappresenta un’enorme opportunità dal punto di vista turistico, come ampiamente documentato in diversi Stati, e una punta di diamante della biodiversità; tutelando l’orso, una specie-ombrello, si tutela inoltre a cascata l’intero ecosistema. A seguito dello studio di fattibilità vengono rilasciati, tra il 1999 e il 2002, 10 esemplari di orsi provenienti dalla Slovenia. Già nel 2002 si registra la prima riproduzione e il progetto porta velocemente i suoi frutti venendo considerato a livello internazionale come esempio virtuoso in ambito di progetti sui grandi carnivori.

Con il passare degli anni l’incremento della popolazione supera le previsioni; gli ultimi dati ufficiali, al 2021, indicano una consistenza di circa 73-92 orsi esclusi i cuccioli nati nell’anno che, tenuti in considerazione, porterebbero il totale della popolazione a circa 100 esemplari. L’incremento del numero di orsi, lieve e costante ogni anno, rimane al momento limitato alla zona originaria del progetto e a poche zone adiacenti. A differenza del lupo, in grado di colonizzare rapidamente nuovi territori, negli orsi solo i maschi possono percorrere lunghe distanze in cerca di un partner, mentre le femmine tendono a gravitare nei luoghi di nascita allontanandosi raramente. Questa caratteristica ecologica rappresenta un fattore importante da considerare nell’ottica di una gestione efficace della specie, gestione forse sottovalutata e da molti accantonata.

Comunicazione e gestione

Come visto, innegabilmente dal punto di vista ecologico il ritorno dell’orso in Trentino è stato un successo. Ed è proprio questo estremo successo che, imbattendosi nelle esigenze e nelle pretese dell’uomo, fa insorgere le problematiche sociali e politiche della vicenda. Continuare a sostenere che gli orsi sono “troppi” non fa altro che evidenziare questa realtà; se gli orsi continuano a riprodursi e a sopravvivere evidentemente l’habitat è idoneo e male non si trovano. Forse sono “troppi” per noi, che è ben diverso.

Occorrerebbe, allora, valutare seriamente lo stato della popolazione, attuando una mirata strategia di gestione (valutando abbattimenti o spostamenti selettivi come avviene in altri Stati, per esempio in Slovenia) e non rimuovendo di pancia manciate di individui in stile risiko. Considerando che la popolazione di orsi è cresciuta gradualmente e il comportamento della specie è noto da sempre, cadere ora dalle nuvole e sentire improvvisamente l’incombere di un’enorme minaccia è la testimonianza della poca o mala informazione divulgata negli ultimi vent’anni. Dal termine del “Life Ursus”, nel 2004, è forse stato fatto poco in ambito comunicativo e gestionale. Tuttavia, anche se spesso dimenticati, alcuni strumenti esistono; il Pacobace (Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali), prevede per esempio determinate disposizioni nei casi di orsi considerati “problematici”.

Per quanto riguarda l’orsa JJ4, già protagonista di una reazione aggressiva nel 2020, andrebbe valutata la dinamica di quanto accaduto; qualora venisse riconosciuto un atteggiamento eccessivamente aggressivo, oltre il normale comportamento difensivo della specie, sarebbe prevista la rimozione o l’abbattimento. Un intervento in questo senso, per quanto possa dispiacere, potrebbe rappresentare un passo decisivo verso una vera convivenza che limiti l’insorgere delle folle e la diffusione di psicosi insensate e dannose per orso, ambiente e persone.

Vale la pena ricordare le principali misure adottate nelle regioni caratterizzate dalla convivenza tra uomini e orsi. Nel mondo, dall’Abruzzo al parco di Yellowstone, vi sono diverse zone in cui molteplici sentieri sono limitati o interdetti in determinati periodi dell’anno. All’interno di alcune aree, inoltre, vige il divieto di abbandonare il tracciato e/o di accedere con i cani, indipendentemente dal guinzaglio. La comunicazione svolge sempre un ruolo importante e le persone vengono a conoscenza degli atteggiamenti e delle precauzioni da adottare di fronte ad eventuali incontri con la fauna. Nei parchi americani gli escursionisti sono caldamente invitati dai rangers a portare con sé oggetti rumorosi e lo spray anti-orso al peperoncino che viene consigliato (anche in altre parti del mondo) in quanto dimostratosi più utile delle armi. E in Italia? Quale comunicazione e quali misure? Quanti sono a conoscenza e in possesso dello spray al peperoncino? Quello base si intende, ovviamente da noi quello usato a Yellowstone è ancora illegale.

Convivenza: un approccio da cui ripartire

Auspicando una gestione lungimirante e la messa in atto di serie strategie comunicative, occorre forse ripartire tutti dalla relazione profonda, inestirpabile, che inevitabilmente c’è tra noi e il resto del pianeta. La vicenda degli orsi in Trentino si inserisce infatti in una fitta e continua serie di eventi che lasciano emergere una ferita a monte, nel rapporto che viviamo con il resto della natura, della quale siamo apice ma dalla quale non possiamo isolarci.

La coscienza di essere somma creatura tra le creature ha forse erroneamente spinto verso una visione che tende ad assolutizzare (da ab-solutus: sciolto da) e considerare ogni elemento della realtà come singolo fattore isolato e non particolare di un quadro straordinariamente complesso. In un mondo di “likes” crediamo di permetterci il lusso di scartare o tenere qualcosa sulla base di una nostra più o meno approfondita analisi. Così abbiamo dapprima deciso di eliminare l’orso e successivamente deciso di riportarlo. E ora? Lo teniamo, lo togliamo?

In ogni caso sembra sempre che spetti a noi decidere cosa deve esistere e cosa no, oppure, per mantenere una parvenza di magnanimità, dove e quando deve esistere. Da qui la tentazione di eliminare ogni sorta di potenziale problema senza porsi domande. Ormai abbiamo infilato le mani in ogni angolo del globo e alterato svariate volte gli equilibri naturali, ed è dunque ipocrita definire come “poco naturale” la presenza dell’orso in Trentino quando di veramente naturale intorno a noi resta ben poco. E mentre crediamo di avere il diritto di rimuoverlo, avendolo riportato noi, dobbiamo trovare altre scuse per giustificare la volontà di rimuovere lupi, cinghiali, zanzare e via dicendo, in un’illusoria rincorsa al rischio zero, continuando nel frattempo a generare ulteriori problematiche.

Le decisioni sono ormai tutte condizionate da scelte e sviluppi pregressi, e ormai da tempo abbiamo deciso noi di prendere le redini di gran parte dell’ambiente. Adesso tocca assumersi le responsabilità, evitando la vile scorciatoia dell’“orso espiatorio”. Noi che disponiamo di ragione e libertà siamo sempre più spesso, volenti o nolenti, spinti a decidere delle sorti di altre creature e, qualunque sia la decisione ritenuta più saggia, andrebbe presa con vera consapevolezza; l’uomo e la casa comune non possono che avere un bene comune, e questo va ricercato. E mentre si tenta di stare all’altezza di questo arduo compito, conviene evitare di dipingere quadri distorti della situazione.

Quanto accaduto nei boschi di Caldes desta parecchio scalpore proprio in forza della sua eccezionalità, non della sua ordinarietà. Emblematico è il caso di Yellowstone, dove vivono l’orso nero americano e il temuto Grizzly; Anche grazie alle strategie comunicative e gestionali messe in atto, dal 1872 (anno di istituzione del parco), i decessi causati dagli orsi sono stati 8 (a fronte di 7 persone schiacciate da un albero caduto, 5 fulminate, 23 ustionate in sorgenti termali e ben 125 annegamenti). E mentre l’orso solleva dibattiti e polemiche, fa poca eco la morte di una donna avvenuta nello stesso giorno, sbranata da un rottweiler in Liguria. E pochi parlano delle 3 persone travolte e rimaste uccise da una valanga la settimana successiva in val di Rhemes (Valle d’Aosta). E passano ormai in sordina, purtroppo, le numerose morti che si susseguono ogni anno per via della tremenda attrattiva della natura, una natura che affascina spesso proprio per i fattori di rischio che la caratterizzano.

La montagna stessa ne è un chiaro esempio: molti vi cercano l’adrenalina in parete, in ferrata, nell’attraversare i crepacci, piuttosto che nello scalare vette impervie o avventurarsi in calanchi apparentemente inesplorati. Bellezza e rischio in egual parte compongono il fascino delle montagne e la presenza dell’orso si inserisce in questa logica, suscitando in parte stupore e in parte tremore. E, se fino a ieri prevaleva lo stupore per un puccioso orsacchiotto che attirava turisti, da oggi l’orso sembra solo essere motivo di vacanze disdette. E mentre noi fatichiamo a scendere dall’altalena dei sentimenti, la natura resta lì, irriducibile, ad offrire senza sconti tutto ciò che è. Per quanto riguarda l’orso, in attesa di decidere quale futuro riservare a questa straordinaria specie, qualcuno continua a godere del suo fascino nonostante, anzi anche attraverso, il tremore suscitato dalla sua presenza.

Ricordo quando, qualche anno fa, andai in Slovenia con alcuni amici per osservare gli orsi. Camminando in silenzio tra vecchi faggi, dopo giorni di ricerca non ancora appagata, uno di noi disse: “comunque è diverso camminare qui. Anche se non l’abbiamo ancora visto, sapere che l’orso c’è mi fa avanzare in queste foreste come se fossi ospite”. Imparando a conoscere l’orso, la paura dell’ignoto lentamente cede il posto al giusto timore, che educa ad un rapporto più vero e costruttivo con la natura. Siamo plantigradi, sia noi che l’orso, appoggiamo cioè l’intera pianta del piede quando camminiamo. Ma forse, in certi casi, è anche decisamente più bello, oltre che consigliato, camminare in punta di piedi laddove l’orso affonda la zampa.

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