In Italia sta avvenendo una “sostituzione culturale” in cui la cultura della pace viene soppiantata da quella della guerra. È la tesi sostenuta da Alessandro Orsini tra le pagine de Il Fatto Quotidiano, che rintraccia le origini di questo processo dalla caduta del Muro di Berlino, evento che ha segnato l’egemonia a livello mondiale degli Stati Uniti e l’installazione di basi militari sul territorio italiano. Le conseguenze di questa espansione internazionale sono le richieste della Casa Bianca all’Italia di prendere parte a numerose guerre, suscitando la prima contrapposizione tra cultura della pace e della guerra.



Per Orsini, infatti, nel 1999 i media italiani hanno parlato del bombardamento illegale della Nato contro la Serbia in termini di ‘missioni di pace’, evitando in ogni modo la parola ‘guerra’ proprio come sta avvenendo in Russia nei confronti di Kiev. Proprio l’invasione dell’Ucraina, invece, ha visto il predominio della cultura della guerra. Nel concreto, quando si parla dell’Ucraina oggi si esaltano i caduti in battaglia, la tecnologia delle armi usate sul campo, la visione in termini eroici e glorificanti del presidente Zelensky. Un linguaggio, insomma, che per Orsini è funzionale al desiderio degli Stati Uniti di coinvolgere l’Italia non solo sul fronte ucraino ma anche nella possibile guerra da muovere contro la Cina.



Orsini: “Italia messa contro la Cina da Stati Uniti. Possibile guerra…”

Alessandro Orsini per Il Fatto Quotidiano spiega che il presidente statunitense Joe Biden ha domandato al premier Giorgia Meloni di spazzare ogni accordo commerciale con la Cina e di contribuire alla possibile guerra anche con l’invio della nave  Cavour, la più importante da guerra in Italia, nelle acque orientali. Ma non c’è solo l’Italia nelle presunte mire statunitensi: 14 giugno 2021 Biden aveva indotto la Nato a pubblicare un documento che annunciava l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica, indicando al contempo la Cina come nemico collettivo. Un documento approvato dall’allora governo Draghi.



Orsini invoca allora la consapevolezza su questa sostituzione non etnica bensì culturale, che parte dal linguaggio per pervadere poi la mentalità di un popolo spesso inconsapevole di quanto avviene a livello internazionale e infine le decisioni di un intero Paese. Parlando di “un’operazione guidata dall’alto che deve essere contrastata dal basso”.