Studenti dell’università messi in guardia su George Orwell e il suo romanzo 1984. Succede in Inghilterra e l’università è quella di Northampton, al 101esimo posto in una classifica di 121 università britanniche, quindi non un granché e la causa sarà anche da ricercare in certe scelte ridicole. Sta di fatto che il personale dell’università, in versione tribunale dell’inquisizione post-moderno, ha stilato un elenco dei libri “offensivi ed inquietanti” che gli studenti di letteratura inglese farebbero meglio ad evitare, evitando con essi possibili traumi e danni alla psiche e all’identità in costruzione, che è poi il titolo del corso di quegli stessi studenti. Con perfetto umorismo british, riferendosi alle azioni dell’università, il biografo di Orwell David Taylor ha detto: “Penso che dei tredicenni potrebbero trovare alcune scene del romanzo inquietanti, ma non credo che un ragazzo in età universitaria sia davvero scioccato da un libro”.
L’avvertimento sembra essere un episodio di una moda culturale dilagante nel mondo anglosassone, la cosiddetta “cancel culture”. Ne fanno da anni le spese libri, opere d’arte, monumenti, studi storici, idee, persino parole. La cultura della cancellazione, così potremmo tradurla, non tiene conto in realtà di un paradigma logico di cui si è sempre tenuto conto: ogni evento culturale e storico va letto e mantenuto nel suo contesto storico. Se si possono e devono correggere modi di dire e fare nel progredire della cultura, questa correzione non può avvenire con la cancellazione. Ma in Inghilterra sta funzionando proprio così: altre opere cadute sotto la mannaia degli accademici perché offensive e sconvolgenti sono l’opera teatrale Endgame di Samuel Beckett, la celebre graphic novel V For Vendetta di Alan Moore e David Lloyd (da cui è stato tratto un film divenuto punto di riferimento per la riflessione sul potere) e Sexing The Cherry di Jeanette Winterson. In altre università inglesi, come quella di Salford, l’avviso di pericolo ha coinvolto persino Charles Dickens e Jane Eyre della povera, cattivissima Charlotte Bronte. E qui si supera il confine del ridicolo.
Il motivo per cui si tengono lontani i ragazzi da queste opere è il contenuto, che comprende riferimenti a “genere, sessualità, abuso, violenza, autolesionismo, suicidio”. In particolare Orwell “affronta temi impegnativi relativi a violenza, genere, sessualità, classe, razza, abusi, abusi sessuali, idee politiche e linguaggio offensivo”. Peccato che li affronti proprio per capirli e starne lontano: evidentemente quegli insegnanti sono incapaci di fare il loro mestiere, che non è di chiudere gli occhi di fronte al male di cui è capace l’umanità, ma affrontarla assieme ed educare i giovani al bene. Forma di ignoranza da cui sono afflitti certi insegnanti, soprattutto universitari, non certo soltanto in Inghilterra. Si tratta di ignoranza morale che spinge chi ne è malato a istituire tribunali per eliminare ciò che non sanno conoscere e far conoscere.
L’episodio conferma in realtà che 1984 di Orwell è un capolavoro e va assolutamente letto. Nell’università in questione e, temo, in tutte quelle d’occidente, la sua profezia si sta avverando, altroché: la sua “newspeak”, la neolingua, che ci impone di dire certe parole e ne cancella altre (ad esempio “mamma” o “papà” o l’asterisco che sostituisce il suffisso del genere dei sostantivi e degli aggettivi); la “polizia del pensiero” che proprio alterando e cancellando le parole e il passato ci impone il pensiero unico; il Grande Fratello che, a partire da quelle facoltà dove si formano i futuri insegnanti, ci tiene sotto controllo fin nelle camere da letto, imponendoci linguaggi, affettività e persino sessualità. Orwell lo chiamava Socing, cioè il socialismo inglese.
Tutto questo sta realizzandosi per l’azione di chi si è dato un’immagine bonaria e sollecita, che ha a cuore il nostro bene, come ha affermato il deputato Tory Andrew Bridgen: “C’è una certa ironia nel fatto che gli studenti siano stati avvertiti prima di leggere 1984. I nostri campus universitari stanno rapidamente diventando zone distopiche del Grande Fratello dove la neolingua è praticata per diminuire la gamma del pensiero intellettuale e cancellare chi non si conforma. Troppi di noi – e da nessuna parte è più evidente che nelle nostre università – hanno liberamente rinunciato ai propri diritti per conformarsi invece a una società omogeneizzata governata da un’élite liberale che ci ‘protegge’ dalle idee che ritiene troppo estreme per la nostra sensibilità”. Come dargli torto?
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