L’ORWELL INEDITO E LA “PROFEZIA” SULLA CRISI MONDIALE
Non solo “1984”: George Orwell in tempi non sospetti riuscì a cogliere il rischio deflagrante del totalitarismo e dell’ideologia anche ben oltre il nazifascismo contro cui combatté da inglese nella Seconda Guerra Mondiale. La perdita della libertà e la distruzione della verità sono al centro di molti dei capolavori della letteratura del grande scrittore e giornalista che da sinistra non ebbe remore a minare anche il “mito” del comunismo sovietico. Sul “Giornale” di oggi vengono poi pubblicate anche alcune lettere inedite inserite nel volume recente “Guardarsi dalla santità. Lettere di un ragionevole eretico” che confermano quanto Orwell seppe incarnare con le sue opere più celebri.
In una di queste, lo scrittore britannico a guerra ancora non finita scrisse a Noel Willmett rispondendo alle diverse domande sul problema del totalitarismo e i rischi per la società mondiale dopo il conflitto: a parte il fare impressione per la lucidità e la capacità di lettura “oltre” la storia che stava accadendo in quegli anni, Orwell già nel 1944 sapeva intravedere i rischi delle opposte ideologie per il futuro mondiale. Il geniale giornalista e scrittore spiega come il seme del totalitarismo sia presente anche in quegli Stati Uniti che pure con il loro intervento stavano per liberare l’Europa dall’orrore nazista: «Hitler sparirà a breve ma solo a spese del rafforzamento di Stalin, dei milionari angloamericani e di tutti quei piccoli fuhrer domestici tipo de Gaulle».
“LA VERITÀ OGGETTIVA È A RISCHIO”: COSA DISSE ORWELL E PERCHÈ È ASSOLUTAMENTE ATTUALE COME MONITO
L’idea portata avanti da Orwell è tanto semplice quanto efficace: ovunque, secondo lui, i movimenti nazionali sembravano assumere già nel 1944 delle forme antidemocratiche e totalitarie dove il fine sempre “giustifica i mezzi”. Secondo lo scrittore britannico, sempre nella lettera a Willmett, «il mondo sembra muoversi nella direzione di un’economia centralizzata (statale, ndr) che per quanto possa risultare efficace da un punto di vista economico, non è organizzata secondo principi democratici». Anzi, osserva Orwell, «tale cultura è organizzata secondo un sistema di caste»: è da qui che nascevano il nazionalismo “di pancia” dove si tende a «dubitare della verità oggettiva» e della libertà.
Secondo George Orwell, la verità era in pericolo già prima della fine della guerra in quanto «tutti i fatti devono sottostare alle parole e alle profezie di un qualche infallibile dittatore. In un certo senso, la Storia ha già smesso di esistere». È il concetto osservato anche in “1984” – scritto, lo ricordiamo appena 3 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale – dove la “psicopolizia” mette in dubbio fino a modificare la verità oggettiva, fino a far credere che “due più due fa cinque”. Era stato lo stesso Orwell ad allarmare la cultura e la società nel dopoguerra con il timore di una dittatura del pensiero, annientante l’individuo umano: un pericolo che non sarebbe stato cancellato con la fine del nazifascismo ma che anzi si sarebbe visto poi in Russia, Cina, Cuba, Germania dell’Est e tanti altri ancora fino ai giorni nostri. Fino all’odierno “inclusivo” e secolarizzato Occidente: «In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?», scriveva Orwell nel suo capolavoro più noto.