È molto probabile che l’unica cosa che passerà agli annali di questa notte degli Oscar 2022 sarà la manata che Will Smith ha rifilato a Chris Rock “colpevole” di aver fatto una battuta sull’alopecia della moglie, Jada Pinkett, un gesto molto discutibile – usando un eufemismo – per il quale da più voci si chiede il ritiro dell’Oscar vinto poco dopo per King Richard, con tanto di discorsetto ipocrita e pericoloso (“L’amore fa fare cose folli”). Eppure ce ne potevano essere di cose per cui ricordare quest’annata.



Per esempio, il premio ad Ariana De Bose, non protagonista in West Side Story, che vince l’Oscar per lo stesso ruolo con cui lo vinse Rita Moreno sessant’anni fa; quello a Jane Campion, per la regia de Il potere del cane, caso raro di film che vince quell’unico premio senza vincere altro e che sancisce contemporaneamente la sconfitta di Netflix e l’ingresso in gioco nel cinema che conta di AppleTv (che l’anno prossimo avrà un frontrunner come il nuovo film di Martin Scorsese), che ha distribuito I segni del cuore – CODA, film che ha vinto tre statuette, quella per il miglior film, per la miglior sceneggiatura adattata (è il remake del francese La famiglia Bélier) e per Troy Kotsur, non protagonista, il primo maschio sordo a vincere un premio, più di 30 anni dopo Marlee Matlin che nel film interpreta sua moglie.



Si sarebbe potuto parlare dei sei Oscar tecnici dati a Dune (fotografia, montaggio, musica, sonoro, scenografia, effetti speciali), di cui quattro dati fuori diretta per “accorciare i tempi”, facendo un pessimo servizio però a settori del cinema come il montaggio e la fotografia che sono di fatto i due elementi primari del film, oppure del premio a No Time to Die come miglior canzone, il terzo film di Bond a vincerlo di seguito. Oppure, al negativo, delle sconfitte dei candidati italiani come Paolo Sorrentino, il cui È stata la mano di Dio ha perso contro il favoritissimo Drive My Car, Massimo Cantini Parrini, i cui costumi per Cyrano hanno perso contro quelli di Crudelia, o Enrico Casarosa, regista di Luca che ha perso nella categoria del film d’animazione contro Encanto.



E via elencando premi oppure svarioni, come la mancata celebrazione di Monica Vitti nel consueto ricordo degli scomparsi. Invece, ci ricorderemo di uno schiaffo e degli insulti urlati dalla platea mentre l’Academy tributava alla Pace un minuto di silenzio, un’ipocrisia globalizzata nella quale la violenza si condanna in pubblico, ma si giustifica (e si pratica) in privato. Potremmo malignare anche che in un anno così è difficile parlare di cinema, avendo scelto di mettere da parte molti dei grandi film per le sale, lasciando praticamente a bocca asciutta film come Licorice Pizza, West Side Story e Nightmare Alley – colpevoli di essere dei fiaschi al botteghino, ma anche tra i migliori film dell’anno – per premiare un film come Coda che nelle sale del suo Paese e di molti altri (in Italia vedrà la luce dei cinema dopo la vittoria e dopo il passaggio su Sky) non è mai uscito. 

Sono scelte di mercato e di posizionamento economico, molto più che di correttezza politica come in tanti accusano, scelte su cui la battaglia degli Oscar si è sempre combattuta. Solo che in questa fase di transizione del mercato e dell’identità stessa dell’audiovisivo, sembrano farne le spese i film che un tempo avremmo identificato come i Film da premiare, che nel passato avrebbero trionfato senza dubbio. 

È Hollywood bellezza, e noi non possiamo farci niente, nemmeno picchiare chi fa o dice cose che non ci piacciono.

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