A suo modo, quella degli Oscar 2023 è un’annata storica, lo si è detto diverse volte in questi ultimi anni, per motivi diversi. Stavolta lo è stato perché riafferma il potere di una casa di distribuzione e produzione cinematografica che pensa prevalentemente alla sala, ma al tempo stesso lontana dalle logiche delle major cinematografiche (le grandi sconfitte, come da qualche tempo in qua). Il trionfo di Everything Everywhere All at Once, il film diretto dai Daniels, cioè Daniel Kwan e Daniel Scheinert, è anche il trionfo di A24, la società che sta riscrivendo – nel bene e nel male, dipende dai gusti – il cinema “indipendente” di questo momento storico, puntando su storie e soprattutto su un modo di mettere in scena personale, spesso originale, alternativo al mainstream ma in grado di diventarlo a suo volta.
Cioè, le caratteristiche proprie del film vincitore – storia di una donna che gestisce una lavanderia e i suoi problemi familiari e scopre che si trova al centro di un multiverso, in cui accade e può accadere ogni cosa – che torna a casa con 7 premi Oscar (non succedeva da parecchio tempo, dal 2013 di Gravity, che però non vinse per il miglior film), ossia miglior film e regia, sceneggiatura originale, tre dei quattro premi per gli attori – Michelle Yeoh attrice protagonista, Jamie Lee Curtis attrice non protagonista, Ke Huy Quan attore non protagonista – e il montaggio. Un successo dovuto sicuramente alla capacità di frullare decine di influenze e suggestioni in una forma abbastanza smagliante da sembrare mai vista eppure attenta, anche per via del cuore del racconto virato sul sentimento familiare, a non lasciare indietro nessuno, a coinvolgere molti tipi di spettatori diversi. Fantasia e conciliazione, progressista e conservatore, ecumenico a suo modo e sicuramente anche in grado di rispondere al desiderio dell’Academy e dell’industria tutta di valorizzare voci e prospettive – in questo caso quella sino-americana – poco rappresentate negli anni scorsi.
Con il valore politico, che gli Oscar hanno sempre avuto e ovviamente sempre avranno, anche giustamente visto che a votarli è un’industria del settore, non dei critici o giurati esterni al settore, si possono valutare anche i premi a Niente di nuovo sul fronte occidentale, il film Netflix diretto da Edward Berger, che oltre al prevedibile premio per il film internazionale vince anche per la fotografia, le scene e la musica, e Navalny, il documentario dedicato al principale oppositore di Putin, avvelenato prima e arrestato poi, due film che pongono luci e attenzione sullo stato di guerra che viviamo da più di un anno e che striscia nelle nostre paure profonde. Politico è anche, in parte, il premio a Sarah Polley per l’adattamento di Women Talking, film sulla parola come gesto di emancipazione, come primo passo verso l’azione liberatoria.
Targato A24 anche il premio per il miglior attore protagonista, andato a Brendan Fraser per l’interpretazione di The Whale, il dramma di Darren Aronofsky in cui l’attore interpreta un uomo depresso che ha deciso di uccidersi con il cibo, ingrassando a dismisura per bisogno di amore e presenza. Agli altri film restano le briciole: The Fabelmans e Gli spiriti dell’isola a mani vuote, il bellissimo Pinocchio di Del Toro capitalizza l’unica candidatura ricevuta, quella come film animato, Top Gun: Maverick il premio per il sonoro e ad Avatar 2 quelli per gli effetti speciali, i costumi a Black Panther 2 mentre la canzone va a RRR, il film indiano che è la rivelazione di tutta un’annata e che invece è finito del tutto dimenticato.
Ma forse è giusto così, o meglio forse no, però ha un senso, una logica, ovvero premiare le istanze del momento e i flussi in cui va la produzione e distribuzione cinematografica oggi, flussi (anche nel senso inglese di stream, streaming) che a cavallo di rivoluzioni tecnologiche che forse scoppieranno e dopo una pandemia che ha accelerato i processi di stravolgimento del pubblico sono difficilissimi da individuare, seguire o prevedere: e questi flussi, almeno oggi alla fine della stagione dei premi e quindi a chiusura dell’anno 2022 (anno a cui si riferiscono i premi), vanno a celebrare chi fa cinema pensando per la sala cinematografica, ma fuori dai porti sicuri del grande cinema di massa, popolare – perché magari in Italia non ce ne siamo accorti, ma Everything Everywhere All at Once negli Usa è stato un successo di pubblico al botteghino -, ma senza le stigmate del kolossal o del Blockbuster.
È una presa di posizione discutibile, come tutte le prese di posizione, ma utile a mappare quel terreno sconnesso e ripido che chiamiamo futuro del cinema.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI