La giovanissima rock star Billie Eilish conquista l’Oscar con una canzone nella quale risuona la domanda ultima dell’umanità, proprio come la evocava Leopardi. “E poi Billie Eilish, due spanne sopra gli altri con quella ‘What was I made for?’ premiata con l’Oscar. Chissà se quando l’ha scritta aveva in mente solo ‘Barbie’ o anche se stessa. Anche noi che ascoltiamo potremmo porci la stessa domanda”. Così concludeva la sua cronaca della Notte degli Oscar su queste pagine il nostro amico “americano” Riro Maniscalco. Ma a quale domanda si riferiva ascoltando la ballata pianistica, di profonda semplicità compositiva e dal ritornello di orecchiabile immediatezza, che ha avuto il compito in qualche modo sorprendente, di introdurre i titoli di coda del film Barbie?
“Per cosa sono stata creata? (…)
Penso di aver dimenticato come essere felice. (…)
Ero solita galleggiare, ora semplicemente cado.
Ero solita sapere, ma ora non sono sicura. (…)
Qualcosa che non sono, ma qualcosa che potrei essere.
Qualcosa che sto aspettando, qualcosa per cui sono fatta”.
Insieme a Taylor Swift, la poco più che ventenne losangelina Billie Eilish è la cantante più influente della Generazione Z statunitense, con più di 50 milioni di copie vendute nel mondo tra dischi fisici e digitali. Il suo stile creativo autoriale tra hip hop e soft pop (sviluppato insieme all’inseparabile fratello Finneas) interpretato inconfondibilmente con voce sussurrata, alla luce di una carriera ancora molto giovane con appena un paio di produzioni discografiche in vetrina, è ormai diventato riconoscibile.
Già ben inserita nel mondo del “fashion”, attivista vegana e impegnata per la protezione del clima, la sua immagine un po’ eterea si accompagna a una “postura” di ragazza insicura, tipico di questa nuova generazione, alla continua ricerca, anche “di genere”, dove la filosofia della “fluidità”risulta sempre più invasiva. “Non ricordo di avere mai scritto una canzone su un mio stato d’animo in un dato momento, perché mi annoiava. A chi importa di come mi sento oggi? (Certo, poi si scopre che a molte persone invece importa, ed è davvero bello). Quando ho scritto ‘What was I made for?’ non pensavo a me o alla mia vita (…) solo dopo ho realizzato che in realtà parlava di me (…) È stata un’esperienza strana: stavo pensando a un personaggio, ma alla fine quel personaggio ero io”. Sono alcune riflessioni della Eilish da un’intervista rilasciata alla rivista “Vanity Fair” nel dicembre 2023.
“Di che cosa sono fatta?” è la domanda che da secoli ritorna tra le storie personali di donne e uomini, tra le pagine scritte dei grandi poeti. “Per cosa sono stata creata?”, o anche “Che fa l’aria infinita e quel profondo infinito seren? Che vuol dire questa solitudine immensa? Ed io che sono?”. È il famosissimo finale del leopardiano “Canto notturno di un pastore errante d’Asia”. Una questione del cuore umano e della poetica antica a cui si attaglia quella modernissima di Billie Eilish.
E ancora, il buon Leopardi: “Il non poter esser soddisfatto da alcuna cosa terrena, né per dir così, della terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio (…) e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità (da “Pensieri”).
A qualche lettore sembrerà un po’ spericolato, azzardato, affermare che per il poeta Leopardi e, secoli dopo, per la cantautrice rock Billie Eilish, questo atteggiamento di fronte alla realtà sia “Il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana” (è sempre il poeta di Recanati).
Eh sì, perché queste sono le domande “inestirpabili” che “si attaccano al fondo del nostro essere e costituiscono come la stoffa di cui è fatto (il senso religioso)”. È il genio educativo di Luigi Giussani (sono sue le citazioni di Leopardi), che attraverso la sua esperienza carismatica di sacerdote cattolico che nei decenni della seconda metà del Novecento ha aiutato migliaia di giovani e adulti a valorizzare ciò che si muove inquieto nell’animo umano di ogni epoca: “Quanto più uno s’addentra nel tentativo di rispondere a quelle domande, tanto più scopre la propria sproporzione alla risposta totale (…) l’inesauribilità delle domande esalta la contraddizione fra l’impeto della esigenza e la limitatezza della misura umana della ricerca” (“Il senso religioso” pag.63, Bur Rizzoli 2023).
Se per il grande educatore questo è il primo gradino per arrivare al pieno riconoscimento dell’avvenimento cristiano, per Billie Eilish si tratta di una domanda ancora abbozzata, incompiuta, tentennante. È però il segno che la tanto bistrattata musica rock (considerata da molti puro intrattenimento) ha nel suo DNA la capacità di uscire dalla routine omologante ed esprimere compiutamente (anche se episodicamente) quel grido d’aiuto, non scontato, verso l’Autore della redenzione umana.
A noi che ascoltiamo, basta accorgersi e riconoscerlo.
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