Il nuovo Ospedale Fiera Milano, nato per affrontare al meglio l’emergenza Coronavirus, ci racconta storie di speranza, umanità e professionalità. Parla ad esempio il dottor Nino Stocchetti del Policlinico di Milano, che inizialmente si occupava dei pazienti non-Covid ma poi è stato destinato appunto al nuovo ospedale in Fiera Milano.



Lo ha visto per la prima volta che era ancora un cantiere, ma già stupito e commosso per le “bellissime” unità di terapia intensiva e per i magazzini pieni di monitor, ventilatori, letti da terapia intensiva, che erano tutti molto difficili da reperire, ma ancora di più per i tantissimi volontari che si erano messi all’opera per fare in modo che il nuovo Ospedale Fiera Milano vedesse la luce, a cominciare dagli ingegneri collaudatori.



“Nessuno ci ha ‘comandato’ di esserci, lo abbiamo scelto noi. E tutti all’inizio eravamo volontari“, riassume Stocchetti, che ricorda con gratitudine in particolare i primi due infermieri ad accettare. Li cita per nome: Giovanni e Prospero. In questo modo è nata la terapia intensiva più grande d’Italia, che ha permesso di curare tutti quei pazienti intubati che fino a un paio di settimane fa non trovavano posto negli ospedali delle città più colpite da Coronavirus, come Bergamo, Brescia e Piacenza.

OSPEDALE FIERA MILANO: LA NASCITA DI UNA GRANDE OPERA

Volontari anche gli infermieri caposala: “Era domenica mattina, ma eravamo tutti qui“, sintetizza il dottor Stocchetti. Il primo motore del nuovo Ospedale Fiera Milano dunque è fatto di volontari, gente che comunque da quattro o cinque settimane non riposava mai. Servivano dunque nuove forze, che sono arrivate da tutta Italia. In sei giorni è stata fatta la formazione di questi nuovi arrivi, che normalmente avrebbe richiesto sei mesi.



Tutti però erano accomunati dal desiderio di rendersi utili e in queste condizioni è più facile anche lavorare in modo intensivo. Lo stesso Stocchetti ha avuto bisogno di un ‘corso accelerato’ sulla terapia intensiva polmonare, essendo uno specialista neurologico. Tutti dunque hanno imparato qualcosa, dal primario ai giovani specializzandi.

Dunque alle ore 7.30 la mattina comincia con una riunione scientifica: studiare per dare ai malati la migliore assistenza possibile. Lunedì 6 aprile è stato aperto l’Ospedale Fiera Milano, appena il giorno prima si sono radunati circa 70 giovani infermieri provenienti da tutta Italia, anche questo un aspetto commovente di questa opera straordinaria nata letteralmente in pochi giorni.

“NON EROI, FACCIAMO IL NOSTRO DOVERE”

Per lavorare in un ambiente di questo genere, è fondamentale naturalmente innanzitutto la protezione. Anche questo è un aspetto su cui medici e infermieri hanno dovuto imparare molto, nella lotta con una malattia nuova. Ogni giorno tramite Whatsapp circolano le nuove informazioni sulle caratteristiche di Covid-19, grazie anche al confronto con gli altri ospedali.

Stocchetti ricorda il dramma dei parenti, che sono costretti alla quarantena e dunque non possono stare vicini ai malati: ogni famiglia allora ha un medico di riferimento, che ogni giorno telefona dando le ultime notizie sulle condizioni della persona cara, mentre un secondo medico resta in contatto con loro per capire eventuali problemi anche psicologici proprio dei parenti.

Stocchetti tuttavia rifiuta la definizione di “eroi”: è più importante preservare l’ironia per affrontare il lavoro quotidiano, che è spesso molto più di quello che sarebbe chiesto perché “pensiamo a fare bene quello che riteniamo essere il nostro dovere“. Nota di merito speciale va agli infermieri, che molto spesso Stocchetti deve “cacciare a casa” al termine del turno – pensando a come “non far danno” ai loro cari. La chiusura è un appello per il futuro: “Noi non siamo eroi, non siamo angeli, ma stiamo facendo il nostro dovere; è ora che questo Paese venga fondato non solo sui diritti, ma sui doveri”.