Mentre nell’opulento occidente cantanti e band giocano alla “trasgressione” puntando tutto su immagine (secondo loro) sessualmente accattivante, sull’identità di genere e altre amenità, nella striscia di Gaza ci sono gruppi rock che cantano di ben altre tematiche come la guerra, la povertà, i muri che dividono i popoli.
Già il fatto che in un paese islamico, dove domina un gruppo fondamentalista e militarista come Hamas, qualcuno abbia il coraggio di fondare un gruppo rock, musica di matrice e origine americana, il “diavolo” per gli islamisti, è qualcosa di realmente trasgressivo. Cantare in inglese e suonare strumenti elettrici non sarebbe ad esempio possibile in Arabia Saudita, anche se i ricchi nei lussuosi villaggi turistici ascoltano la musica occidentale. A Gaza è forse ancor più pericoloso, ma loro, gli Osprey V, ci stanno provando. Erano bambini quando la musica rock occidentale ha cominciato a farsi strada nei loro cuori. Moamin el-Jaru e suo cugino Raji el-Jaru avevano cominciato a pensare di formare un gruppo rock già nel 2007, ma ci hanno messo dieci anni per realizzare il loro sogno.
Moamin, 32 anni, è il bassista e nella vita fa l’avvocato. In una intervista al sito arabo Al-Monitor spiega che quello che vogliono fare è raccontare cosa vuol dire vivere nella Striscia di Gaza: “Canzoni che riflettano le nostre condizioni di vita, comprese le guerre e le sofferenze che ne derivano”. Un brano, Lost and insecure, racconta di un suo amico che voleva partire in viaggio con la fidanzata, ma che poi è morta nella guerra del 2014.
Il problema più grosso è stato essere accettati in un mondo tradizionalista come quello arabo: “La mia famiglia era preoccupata” dice “che la società di Gaza rifiutasse quello che volevamo fare. Ma ho studiato molto per far sì che la nostra musica non andasse contro la nostra storia e le nostre tradizioni”. Ad aiutarli in questo tentativo di sdoganamento della musica occidentale la vittoria di un cantante di Gaza a un programma per talenti, Arab Idol, Mohammed Assaf, nel 2013, che ha reso la musica occidentale conosciuta anche in Medio Oriente.
Gli Osprey V (il nome è quello di un uccello sacro per i musulmani) hanno lavorato sodo, vista la mancanza completa a Gaza di locali, di scuole di musica, e si sono affidati a Internet, facendo amicizia con musicisti di altri paesi che hanno dato loro grande supporto. “Siamo entrati in contatto con artisti su Internet che ci hanno supportato e abbiamo beneficiato della loro esperienza per sviluppare la nostra musica. Aspiriamo anche a partecipare a concerti ed eventi fuori da Gaza per far passare il nostro messaggio umanitario, poiché la musica è un linguaggio semplice che tutti capiscono” dice Siraj al-Shawa, agronomo di 28 anni, produttore del gruppo.
In Home, una delle loro ultime canzoni, parlano delle sofferenze del popolo palestinese durante i tempi di guerra (“Distruggi i mattoni di ogni muro (…) urliamo il nostro dolore, riuscite a sentirci?”), ma il loro, ci tengono a dirlo, è un messaggio universale, rivolto a tutti. El-Jaru, 29 anni, anche lui avvocato e chitarrista della band, dice che “La musica tocca l’anima di chi la ascolta. Quando suoniamo musica triste, puoi vedere che tutti sono toccati perché la musica è un linguaggio universale. La musica rock in particolare esprime il dolore che molti di noi a Gaza provano. Quindi Gaza è come un’ispirazione per quest’arte”.
Il loro primo concerto, a cui hanno preso parte anche egiziani che si trovavano a Gaza, ha avuto successo anche se, dicono, ricevono ancora reazioni negative: “Non ci arrenderemo e continueremo a lavorare per partecipare a più eventi all’interno di Gaza e all’estero. Stiamo cercando di trasmettere il nostro messaggio umanitario al mondo. Nonostante le sfide e la mancanza di supporto, stiamo cercando di avere successo e speriamo in un futuro migliore”. Lo scorso aprile hanno preso parte a un evento online, Live for Gaza, per raccogliere fondi per i musicisti nei territori palestinesi a cui ha preso parte anche il fondatore dei Pink Floyd Roger Waters, da sempre schierato per la causa palestinese. Chissà che un giorno non vengano invita a suonare a Israele. Invece di tutte le menzogne dei politici di una parte e dell’altra, sarebbe davvero un grande passo verso la pace.