L’ossigenazione extracorporea a membrana, abbreviata con l’acronimo ECMO, è una di quelle terapie utilizzate come extrema ratio per tenere in vita pazienti critici e, talvolta, in fin di vita, al fine di attendere sviluppi naturali della malattia, oppure una risposta efficiente alle terapie. È differente concettualmente dalla ventilazione meccanica perché non presuppone uno stress nei polmoni del paziente, con il duplice effetto di prolungare ulteriormente la durata della vita.



Sempre più medici e specialisti, però, stanno sollevando dubbi etici in merito all’uso dell’ossigenazione extracorporea a membrana, che seppur in alcuni casi sia effettivamente una terapia salvavita, in moltissimi altri si traduce in prolungate sofferenze per il paziente, fino ad un inevitabile decesso proprio a causa delle controindicazioni terapeutiche. A livello pratico, consiste nell’uso di uno specifico macchinario simile a quello per la ventilazione meccanica, ma che al posto di pompare ossigeno nei polmoni, simula il flusso sanguigno naturale. Il macchinario per l’ossigenazione extracorporea a membrana preleva il sangue, lo pulisce dall’anidride carbonica e lo carica di ossigeno, irrorandolo nuovamente nel corpo del paziente.



I dubbi etici sull’ossigenazione extracorporea a membrana

Una delle principali differenze tra l’ossigenazione extracorporea a membrana e la ventilazione è che i pazienti attaccati al macchinario devono necessariamente rimanere in terapia intensiva, non potendosi allontanare dall’ospedale. Da questo dettaglio derivano i principali dubbi etici che i medici in tutto il mondo stanno iniziando a sollevare, in particolare su quando sia il momento migliore per “staccare la spina“, sempre che vi sia un effettivo momento definibile migliore.

Attualmente, infatti, l’uso dell’ossigenazione extracorporea a membrana non è regolamentato e viene utilizzata per i più disparati casi medici in cui c’è un notevole rischio di stress sui polmoni. A conti fatti, però, capitano casi di pazienti che rimangono collegati alle macchine per oltre 600 giorni, finendo per invalidare anche le funzioni corporee normali, come il movimento o la facoltà di parola e le funzioni cerebrali. La battaglia etica sull’ossigenazione extracorporea a membrana è ben riassunta da una dichiarazione di Arthur Caplan, bioeticista della New York University Grossman School of Medicine, citato dal Wall Street Journal, secondo il quale “non vogliamo reparti di persone che muoiono su macchine ECMO“.