Dopo il recentissimo (per ora presunto) suicidio in carcere del 18enne Youssef Moktar Loka Barsom si è riaperto l’eterno dibattito sui penitenziari italiani sovraffollati e in una complessa carenza di personale e tra le critiche dell’opposizione è intervenuto Andrea Ostellari – sottosegretario leghista alla Giustizia – che in un’intervista per La Stampa ha messo in fila tutti gli interventi che da qui ai prossimi anni auspica che porteranno a “zero morti in cella“; magari già a partire dall’ormai imminente 2025 nel quale l’obiettivo centrale rimane quello di “non raggiungere i numeri del 2022”.
Il primissimo – forse fondamentale – passo che Ostellari mette in elenco è quello di ridurre “i casi di carcerazione preventiva” alle fattispecie di reato “più lievi in cui c’è il pericolo di reiterazione” e ai crimini “più gravi” cercando delle soluzioni alternative per tutti gli altri detenuti: un esempio è sicuramente “l’arresto domiciliare“; mentre per chi è senza fissa dimora – anche nel caso di detenuti che stanno “scontando la pena e potrebbero accedere a misure alternative” – il dicastero pensa di aprire le porta “delle comunità che (..) potranno accogliere i detenuti e fornire un percorso di attività formativa e lavorativa”.
Andrea Ostellari: “Il carcere deve essere un luogo di recupero e spetto allo Stato garantirlo”
Complessivamente, Ostellari sottolinea che per le cosiddette misure alternative sono stati già stanziati “sette milioni di euro l’anno” che si aggiungeranno ai “cinque milioni” a favore delle comunità di recupero per alcolisti e tossicodipendenti; senza ovviamente dimenticare i “5 milioni per aumentare ore e compenso agli psicologi” e i numerosi interventi per rimpolpare “la pianta organica” degli educatori e superare la “questione dei direttori e dei comandanti (..) a scavalco”.
Nella stessa direzione (ovvero quella di rendere il carcere un luogo più umano) muove anche l’idea di aumentare “i colloqui telefonici” fissi che si unirà ad “un ulteriore intervento – spiega sempre Ostellari – che consente al direttore di autorizzare telefonate a seconda del bisogno”; perché dal conto suo il punto non è tanto promettere ai detenuti “sconti della pena, ma [la] possibilità di crearsi un futuro (..) con l’adesione a un percorso di recupero che deve essere garantito dallo Stato”.