Ottavia Piccolo senza limiti in un’intervista a Il Corriere della Sera in cui ripercorre tutta la sua vita, fatti di grandi successi e grandi incontri. Tra i tanti argomenti trattati non si può evitare una domanda sul suo flirt con Massimo Ranieri. L’attrice sostiene che di vero non ci fosse proprio nulla: “Falso. Era impossibile. Nell’Italia degli anni Sessanta, Massimo era un vero divo, con un cordone sanitario che lo proteggeva persino a cena. Come con Adriano Celentano, quando l’anno prima girai Serafino. Aveva appena inciso Azzurro. Peggio che a Hollywood. Cosa che proprio non amo. I miei modelli non erano Sophia Loren o Gina Lollobrigida, erano Vanessa Redgrave, Julie Christie, Glenda Jackson. Non sopporto chi si atteggia: “Oddio, non mi parlare che sto entrando nel personaggio”. Voglio vedere se non ti sposti quando casca il riflettore perché sei nel personaggio…“.



OTTAVIA PICCOLO: “GIORGIO STREHLER? MI HA CRESCIUTA DICENDOMI COSE TERRIBILI”

Ottavia Piccolo fu una delle poche a non subire il fascino di Alain Delon, con cui ha lavorato in “Zorro”: “Gran professionista. Il primo giorno delle riprese di Zorro arriva, va dall’operatore delle luci, si leva i Ray-Ban, e dice: “Di che colore sono questi occhi?”. “Azzurri”. “Con questi io ci mangio da anni. Mi raccomando, già la mascherina mi gioca contro…“. Unici i suoi ricordi di scena tra Luchino Visconti e Giorgio Strehler: “Visconti era il direttore del Circo Barnum, una macchina infernale, metteva insieme elefanti, serpenti e giocolieri. Aveva cinque vice e due assistenti. Centinaia di persone correvano su e giù, parlando una lingua diversa. Le maestranze creavano dal nulla scenari. Vivevo in una fiaba. Due mesi a Palermo, poi saltai i quaranta giorni del ballo. Rientrai per le scene girate vicino a Roma. Mi tremavano le gambe quando urlava “più a destra, più a sinistra” e io non capivo. Nel ’66 lo incontro di nuovo per una parte nel Giardino dei ciliegi . Mi avevano dato un testo da imparare a memoria, ma in quel periodo ero cialtrona e fatalista“. Ottavia non aveva imparato la parte: “Allora recitami una poesia”. “Non so poesie”, rispondo. “Una parte qualunque che sai”. Me la cavo con una battuta e lui mi caccia via a male parole. Arrivo a casa mogia, so di aver esagerato. Squilla il telefono. L’amministratore del teatro mi dice: “Domani venga a firmare, la parte nel Giardino è sua”. Tiranno Visconti? Non più di Strehler, l’uomo che mi ha cresciuta, migliorata, dicendomi cose terribili. L’avevo sempre addosso: “Non sai usare la voce. Non si sente”. Non sapevo fare il salto mortale. “Sai almeno fare una capriola e suonare il flauto?”. Mi veniva la febbre ogni volta che dovevo andare in teatro. Ho ancora il copione dove Gabriele Lavia (impersonava Edgar) mi scriveva di nascosto messaggi: “Sigh! Non gli piaccio”. Eravamo convinti ce l’avesse con noi perché eravamo due personaggi positivi e lui odiava i buoni. Ma mi plasmò, mi diede la forza di andare avanti nei momenti più difficili della mia vita: mentre lavoravo con lui morì mio padre, poi mia madre, mi lasciai con il fidanzato, mi sposai, rimasi incinta… Mi ha dato la consapevolezza dei miei mezzi“.

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