Dicesi overtourism il sovraffollamento turistico, definito dall’Organizzazione mondiale del turismo come “l’impatto del turismo su una destinazione, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e la qualità delle esperienze dei visitatori”. Chissà se l’assalto dei 160 mila turisti – un delirio, a detta della Polizia locale – registrato il lunedì di Pasqua a Venezia (nella città insulare che, escluso il Lido, conta meno di 50 mila anime) sarà contabilizzato quale eccezionale picco di overtourism o piuttosto come la regola per la tumultuosa ripartenza dei flussi?
Durante la paralisi dovuta alla pandemia si erano spese parole convinte contro l’assembramento, contro questi assalti, invocando un maggiore controllo degli accessi, una deterrenza alle concentrazioni di date ed eventi, un governo insomma molto, ma molto più efficace di quei flussi. Nel caso di Venezia, lo chiedevano i residenti (che i controlli sugli “agganci” alle celle telefoniche adesso hanno rivelato essere rimasti quasi tutti rintanati in casa durante il ponte pasquale), lo chiedevano gli amministratori, lo chiedevano perfino gli stessi operatori del turismo, affannati a reperire spazi, rifornimenti, personale a fisarmonica, sempre scarso nei giorni clou, sempre in esubero negli altri.
Venezia adesso sta per sperimentare dalla prossima estate, caso unico in Italia (unico al mondo, secondo il sindaco Brugnaro), la prenotazione per accedere nella città-museo: “Il digitale sarà alla fine la soluzione, permette di prenotare tutto” ha detto la scorsa settimana, proprio a Venezia, il ministro al Turismo Massimo Garavaglia, ricordando anche che Venezia è candidata quale capitale della sostenibilità (ma da qualche anno, pre-pandemia, era citata al contrario quale capitale dell’overtourism…). Da un punto di vista giuridico, le prenotazioni (s’era parlato di VenicePass) non dovrebbero diventare strettamente indispensabili per l’ingresso in città, e infatti il Comune ipotizza diventino piuttosto strumenti per ottenere facility per gallerie, mostre, eventi, forse anche per i trasporti. Ma, dopo il rinvio di un anno, voluto per non creare ulteriori ostacoli alla ripartenza, nel 2023 dovrebbe scattare anche un ticket, si vedrà di quanto e come (s’era ipotizzata una cifra variabile dai 3 ai 10 euro, secondo i giorni: più attrattive le date, più cara la tassa).
Venezia, dunque, potrebbe diventare la prima città a seguire l’esempio di altri territori, ad esempio le isole Svalbard, in Norvegia, un fragile ecosistema che ha spinto a decidere sbarchi contingentati e limitati nel tempo per le navi da crociera; o ancora Amsterdam, in Olanda, dove i tour guidati nelle zone più attrattive sono soggetti a ticket, dove è vietata la promozione delle stesse, dove vigono limitazioni draconiane agli affitti Airbnb.
Malgrado tutto, almeno qui in Italia l’overtourism sembra duro da superare, frutto di una calendarizzazione ben poco diluita di ferie e lavori, di scuole ed eventi calamìte. Di quei 160 mila che si diceva, 160 mila sapevano di andare a Venezia rischiando code, attese, affollamenti, eppure si sono diretti ugualmente lì, in una sorta di appuntamento-rito di condivisione collettiva delle destinazioni più attrattive e iconiche. L'”io c’ero” racconta anche di “io ho fatto la coda, io ho aspettato un’ora il vaporetto, io sono riuscito a farmi un selfie in mezzo alla ressa” e via soffrendo, perché era Pasquetta, e si sa che a Pasquetta si fa così. Probabilmente anche la prenotazione o il ticket non basteranno, ma il passo successivo, passare a tornelli e numero chiuso, significherebbe abbandonare dal binomio città-museo la parte “città” e lasciare solo quella “museo”. È chiaro che sarebbe ora di passare dai cerotti alla terapia, bene i primi nell’immediato (prenotazioni e altro), ma serve ben altro per invertire le tendenze diffuse.
Il Touring Club Italiano sosteneva che “sul tavolo restano le criticità del modello di governance, il rapporto Stato-Regioni, la necessità di una profonda innovazione tecnologica, la qualificazione dell’offerta. Il concetto di turismo che ci piace sostenere è che sia un turismo elitario per tutti, con un livello alto e accessibile, che abbia una funzione sociale e culturale, oltre che economica”. Traducendo, significa che il concerto di manovre che potrebbero riuscire a trasportare il turismo in una nuova dimensione dovrebbe vedere sinergie tra operatori (albergatori con i loro piani tariffari mirati a destagionalizzare le presenze, guide turistiche con tour alternativi e decentrati) e pubbliche amministrazioni (a livello centrale con una totale revisione dei piani ferie e dei programmi scolastici; a livello regionale con un piano organico di manifestazioni ed eventi, diluito e spalmato su perimetri più ampi di territori; a livello locale con piani di trasporto adeguati, con controllo puntuale degli accessi, con la segnatura delle zone e dei percorsi più intasati e quindi da evitare, con la promozione di destinazioni alternative e sostenibili, tra cultura, arte e enogastronomia). Per arrivare a un turismo davvero di qualità, ma per tutti, che proponga più organizzazione e servizio, con un turista meno convulso ma alla fine molto più soddisfatto non d’aver condiviso una coda estenuante, quasi una liturgia d’espiazione festiva, ma di avere conosciuto angoli di città e di borghi magari poco o mal conosciuti, assaporandone l’autenticità, e senza dovere mai più sgomitare per poter camminare.
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