Siamo alla farsa, che non ha il pregio di una tragedia scritta nella lingua di Shakespeare. Via la chiave di violino, dentro l’acronimo “PC”, quello del politicamente corretto. Come svelato dal Telegraph, l’Università di Oxford ritiene che le “musical skills”, e cioè l’educazione musicale, con relative abilità tecniche, non dovrebbero più essere obbligatorie, perché l’attenzione dell’attuale repertorio sulla “musica europea bianca” causerebbe “agli studenti di colore una grande angoscia”. Sull’onda del movimento Black Lives Matter, i docenti hanno deciso di “riformare” i corsi, rottamando gli spartiti e allontanandosi dal repertorio classico, perché troppo concentrati sulla “musica europea bianca del periodo degli schiavi”.



Se fossero in vita Alfred Cortot (scuola francese), Arturo Benedetti Michelangeli (scuola italiana), Georges Cziffra (scuola ungherese), Emil Gilels (scuola russa, anzi sovietica, seppur nato a Odessa), senza scomodare altri grandi interpreti che ci hanno lasciato come Vladimir Horowitz, Arthur Rubinstein o Aldo Ciccolini, avrebbero forse qualcosa da dire a Oxford. Pianisti diversissimi tra loro, avevano una cosa in comune, tutti: il rispetto per lo spartito, anzi la partitura. Ché non si legge soltanto con gli occhi ma pure – e soprattutto – con la testa, per poi giungere a trovare una propria visione personale, nel rispetto di ciò che è l’opera messa su carta dal compositore; chiunque esso sia e da qualunque zona del mondo provenga.



Invece a Oxford la pensano diversamente: gli spartiti sono considerati “un sistema colonialista”. E le abilità tecniche, di far suonare una tastiera o di dirigere un’orchestra, ormai superate; anzi insultanti, vergognose e quindi da cancellare, poiché porterebbero in dote repertori di “musica europea bianca” causando enorme “disagio” agli studenti neri o mulatti (dato che “la maggior parte” degli insegnanti di tecnica pianistica e orchestrale “sono in maggioranza uomini bianchi”).

L’assalto non è più solo a Ludwig Van Beethoven o a Gustav Mahler, Šostakovič o altri messi all’indice dalla cancel culture. Oxford vuol far strada al politicamente corretto sui pentagrammi, con una passata di “Pennello Cinghiale” inzuppata di bianco per non far leggere più nulla agli studenti. Poco importa che in musica, o meglio educazione musicale, si insegni a leggere la partitura prima ancora di come suonarla.



Lo spartito è il primo contatto con il linguaggio universale della composizione, attraverso cui ognuno ha trasmesso e lasciato al mondo le proprie opere: visionarie, ribelli, rivoluzionarie o perfettamente incardinate nella tradizione. Tutto fuorché discutibili dal punto di vista della legittimità, morale o sociale, solo perché scritte su carta con penna e calamaio.

Certo, si può imparare a suonare uno strumento senza saper leggere la musica. Siamo pieni di esempi; alcuni anche riusciti. Ma leggerla, sentirla, farla propria, comprenderla e restituirla al mondo, è un processo che richiede proprio ciò che Oxford vorrebbe mettere al bando: la partitura. Segni sui fogli, appunti, accenti. Persino dubbi. Riflessioni e maturazione sono processi che della carta hanno bisogno. Oxford sceglierà invece l’improvvisazione jazz, la laida impronta del rap, per fare scuola. Bach e Chopin, a casa. Cancellati. Con conseguente rottamazione degli spartiti perché “troppo coloniali” e dei compositori perché troppo occidentali.

Un’idiozia che non andrebbe neppure commentata. Per non parlare degli argomenti su cui poggia: il personale di Oxford sostiene infatti che l’attuale curriculum si concentri sulla “musica europea bianca del periodo degli schiavi”, quindi l’università sta valutando la possibilità di bandire gli spartiti per “complicità” della “supremazia bianca” nei programmi di musica. Sarebbe come vietare l’uso dell’abbecedario o del vocabolario, dell’abaco o dei libri di economia aziendale. Inutile ricordare che dall’insegnamento del repertorio classico sono passati anche grandi pianisti neri che hanno fatto fortuna, per esempio in America: uno su tutti, Don Shirley. Persino Hollywood ha portato la sua storia su pellicola. Ma evidentemente a Oxford non guardano più neppure la Settima arte. Meglio ascoltare l’unica voce libera, quella dei manifestanti che buttano giù statue e gridano vendetta contro l’Europa: dalla cultura della cancellazione fino alla cancellazione della cultura.

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