Ieri mattina al-Sarraj, premier del governo nazionale libico con sede a Tripoli, e Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk, hanno annunciato un cessate il fuoco immediato per il territorio libico e la ripresa di un processo politico che porterà alle elezioni nel marzo 2021. Ma in Libia, attualmente un ex Stato diviso in aree di influenza e fazioni, è possibile imporre un cessate il fuoco? Al momento Haftar, a lungo il rivale di al-Sarraj per il controllo della Libia, tace. È stato sostituito da Saleh come interlocutore di al-Sarraj? Sembra di sì, almeno secondo Michela Mercuri, esperta di Libia e docente di storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata,  che ci ha spiegato perché la tregua potrebbe tenere, e come mai gli egiziani sostengano Saleh. Ma sulle prospettive future della Libia, si aspetta “che la disgregazione duri ancora a lungo”.



Che valore ha l’annuncio di pace e di nuove elezioni di Sarraj e Saleh? I due hanno l’autorità e la forza per chiedere uno stop al conflitto?

Potrebbero averla, sono sostenuti da importanti sponsor esterni: Turchia e Qatar per Sarraj, Egitto per Saleh. L’Egitto ha sostenuto fin dall’inizio un cessate il fuoco e l’insediamento di un nuovo consiglio presidenziale guidato da Aguila Saleh, quindi l’annuncio di oggi può avere un valore.



Saleh era il braccio istituzionale di Haftar. Può sostituirlo nelle trattative con Serraj, magari col sostegno russo?

Credo conti di più il sostegno dell’Egitto, che attualmente pare sia vicino a Saleh, ed è uno degli attori più forti nel teatro libico.

L’annuncio di oggi cambia qualcosa sul tavolo degli altri attori rilevanti in Libia? Parlo di Russia, Turchia, Francia.

Tutti hanno un punto in comune: a nessuno giova portare avanti una guerra fratricida in Libia, che vuol dire non avere la possibilità di estrarre petrolio dal paese. La Turchia ha avuto quello che voleva, una base a Misurata (il 17 agosto, ndr). Anche russi e i francesi vorranno qualcosa in cambio ma tutti hanno interesse alla ripresa della produzione di petrolio. E per questo serve una stabilizzazione quanto più duratura possibile del quadro interno.



Restando sul petrolio, Haftar tre giorni fa ne ha fatto ripartire l’esportazione, cruciale per l’economia libica. Va letto come un segno di debolezza, alla luce dei fatti di oggi?

Sì, viste anche le sconfitte subite da Haftar negli ultimi due mesi, e alla luce del rafforzamento della posizione della Turchia, che controlla Tripoli e Misurata, cosa che dà potere ai turchi in tutto il Nord Africa e nel Mediterraneo orientale. E sicuramente questa soluzione va letta come una sorta di cedimento da parte di Haftar che ha già visto fallire la sua intenzione di espandersi verso Tripoli. Credo che anche gli americani abbiano un ruolo.

Non erano estranei al quadro libico? Che ruolo possono avere?

C’è un nuovo interessamento Usa alla questione libica. Teniamo presente che gli americani sono presenti nell’ovest della Libia, e in questo momento sono vicini alla Turchia. Credo che questa scelta di Haftar sia anche il risultato di una pressione esterna, esercitata dagli Usa usando come intermediario gli Emirati Arabi Uniti, che di recente hanno siglato una pace con Israele proprio grazie agli americani. Potrebbero aver riportato Haftar a più miti consigli.

Con l’accordo di oggi non si sta semplicemente accelerando la spartizione del paese per mano degli attori più forti?

La Libia è un paese diviso da anni, questo accordo è per una ripresa della produzione petrolifera che conviene a Cirenaica e Tripolitania. Le risorse dovranno però essere equamente divise tra queste due regioni, altrimenti si rischia una nuova guerra.

Che cosa deve temere Eni da una spartizione della Libia?

Il governo italiano non è mai stato in grado di supportare gli interessi Eni, non è neanche riuscito a mantenere la sua posizione in Tripolitania. L’Eni, che ha la maggior parte degli interessi sia inshore che offshore nell’ovest del paese, ha ormai imparato da molti anni a fare da sola, e continuerà a farlo.

La Libia ha un futuro da nazione unita o è condannata alla disgregazione?

Per avere uno Stato unitario, ce lo insegna anche l’Iraq, ci vuole un rais. Per ora questa persona non c’è, per quanto i libici lo vogliano. Perlomeno nei prossimi anni il futuro sarà diviso, fatto di diverse realtà: Tripolitania, Cirenaica, Fezzan, e con protagonisti attori locali come le municipalità e i sindaci. La cosa più importante in un contesto così frammentato è che non ci siano nuove escalation di violenza. Una ripresa della produzione di petrolio e una migliore redistribuzione della sua rendita credo siano il miglior incentivo a mantenere questo equilibrio instabile.

(Lucio Valentini)