Poco dopo la presentazione da parte di Vladimir Putin del suo piano per raggiungere una pace totale tra Ucraina e Russia, con Kiev che dal summit in Svizzera dei giorni scorsi ha rilanciato la necessità di tornare ai confini del 1991 (e quindi, anche con l’intera Crimea sotto l’egida ucraina); il New York Times è riuscito a mettere le mani su un accordo che era in discussione già nell’aprile del 2022, pochissimi mesi dopo l’invasione russa. Delle trattative di pace che negli anni di conflitto tra Russia e Ucraina sono state più volte – e quasi sempre a scopo propagandistico, da entrambe le parti – citate, ma senza mai reali approfondimenti sul contenuto e che sembra abbiano incluso anche direttamente Zelensky e Putin per alcuni tra i punti più dibattuti.



Prima di arrivare alle carte rese (parzialmente) pubbliche dal quotidiano newyorchese, vale la pena tornare indietro con la mente a quei tragici mesi del 2022, gli ultimi momenti di cui si abbia documentazione di uno scambio tra i due leader oggi più separati che mai: tutto partì esattamente il 28 febbraio, 8 giorni dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, quando un consigliere polacco accompagnò i negoziatori ucraini in Bielorussia per un primissimo tentativo di discussione di una pace; ben prima che tutto degenerasse con le sanzioni occidentali, poi con la scoperta di Bucha e con il ritiro russo dalla regione di Kiev che aprì alla seconda fase del conflitto.



La discussioni tra Russia e Ucraina per la pace del 2022: tutti i punti discussi

Complessivamente, le carte sulla pace del 2022 tra Russia e Ucraina sembrano dimostrare chiaramente un’intenzione condivisa da entrambe le potenze di raggiungere – quanto meno – uno stallo in quel conflitto che sembrò fin da subito ben più complicato di quanto aveva previsto inizialmente Putin. La primissima intesa arrivò ad aprile, con un documento in cui Mosca rinunciava alla pretesa che Kiev riconoscesse come russo il territorio della Crimea; mentre l’Ucraina si diceva pronta a rinunciare – ovviamente su spinta della Russia – all’ingresso nella Nato professandosi “uno Stato neutrale in modo permanente”: la goccia che fece traboccare il vaso della pace fu la controproposta di Kiev di ricevere protezione dalla comunità interazionale.



Similmente, ci furono altre trattative (testimoniate sempre dai documenti visionati e pubblicati dal New York Times) in cui si parlò della sovranità russa in Crimea e Donbass, della limitazione del nazionalismo ucraino e anche sulla smilitarizzazione di Kiev: proposte mosse dalla Russia e che l’Ucraina – sembrerebbe – era pronta ad accettare; ma ci pensarono gli alleati internazionali a far tracollare il nuovo progetto di pace per delle preoccupazioni sul disarmo ucraino.

Salto avanti alla fine di marzo – e siamo ad Istanbul – quando la Russia rimodulò e ridusse le richieste all’Ucraina, pur pretendendo che si trovasse una soluzione sulla questione della Crimea, ma ancora una volta fu Kiev a compiere un errore, chiedendo (nuovamente) un trattato di protezione con gli alleati sul modello dell’Articolo 5 della Nato; e seppur inizialmente il Cremlino fu reticente, qualche settimana dopo accettò almeno l’adesione all’Unione Europea, in cambio di alcune zone del territorio ucraino. Ma – com’è ormai evidente al terzo anno di guerra – neanche in questo caso Ucraina e Russia riuscirono a siglare una pace. La ragione? Da un lato Kiev che pretese (per la terza volta) protezione da USA, Regno Unito, Cina, Russia e Francia per qualsiasi futura invasione da parte di un qualsiasi attore internazionale; dall’altro Mosca che – accettando – pretese una sorta di diritto di veto sugli interventi alleati.