La politica estera di Silvio Berlusconi ha senz’altro il merito di apparire più lineare delle vicende culminate nei tanto attesi (e a volte disattesi) contratti con gli italiani. Tetragono sull’approccio atlantista e fedele alleato degli Usa nella guerra asimmetrica contro il terrorismo islamista, europeista a trazione democratico-cristiana e popolare con punte da federalista europeo fino alla ratifica a Roma della Costituzione europea (naufragata poi coi referendum di Francia e Olanda). E poi progressivamente più euroscettico in ragione delle amarezze e delle difficoltà nelle relazioni con i presidenti francesi, soprattutto Sarkozy, ed ancor più nel controverso rapporto con Angela Merkel.
Ma il cuore della sua visione in politica estera è spiegabile solo alla luce delle amicizie personali maturate in tanti anni di protagonismo sulla scena mondiale. Sarebbe in questo senso riduttivo restringere la posizione internazionale alla relazione con Putin. Berlusconi ha sempre concepito la politica estera come relazione tra pari, con lo scopo di favorire la sintonia tra le nazioni. Nel rapporto personale con Bush, con Aznar, con lo stesso Tony Blair il metodo di Berlusconi era farsi voler bene perché l’interlocutore volesse bene all’Italia. E soprattutto perché da quelle intese scaturisse un quadro politico capace di promuovere maggiore armonia.
In realtà le relazioni tra gli stati non funzionano così, pesano oltremodo gli interessi geopolitici apparentemente immutabili. Ma va dato atto al quattro volte presidente del Consiglio di aver fatto delle intese personali la chiave di volta di una posizione comunque sempre tesa alla costruzione di compromessi ambiziosi e condivisibili. Certo il risultato più importante rimane il cosiddetto accordo di Pratica di Mare immortalato dalla foto che lo ritrae nel gesto di congiungere le mani di Bush e Putin. Il contenuto del documento stilato poneva le fondamenta del Consiglio Nato-Russia, strumento che nella visione di Berlusconi doveva anticipare la saldatura degli interessi della Russia con l’Occidente. Le cose non andarono così e la Russia di Putin bruciò presto il patrimonio di credibilità frutto di quella breve stagione. Ma Berlusconi ricambiò sempre fino agli ultimi giorni la fiducia di Putin, ritenendolo senza infingimenti il miglior leader politico su scala globale.
La proverbiale capacità di Silvio Berlusconi di farsi concavo e convesso certo agevolò il fondatore di Forza Italia in tante situazioni, ma nel caso della politica estera lo costrinse a fare i conti con i limiti delle alleanze che nascono dalle simpatie personali e non da interessi convergenti. Così l’apertura ad Erdogan e l’avvicinamento peraltro in piena sintonia con l’allora ministro degli Esteri Fini ad Israele irritavano i Paesi arabi. Le continue visite private all’amico Vladimir diventavano incomprensibili al di là del Potomac, dove sorge il Pentagono e la misura delle relazioni è a stelle e strisce.
Pur tuttavia Berlusconi rimaneva nella testa dei suoi interlocutori, catturava la loro attenzione con un misto di straripante simpatia, di visione del mondo in chiave multipolare, di attenzioni inusuali nel contesto istituzionale e politico. Ma la logica del conflitto e della destabilizzazione che accompagnerà l’insorgere delle “primavere arabe” finirà per emarginarlo, impedendogli di esercitare il ruolo di garante del destino della Libia così profondamente legata al nostro Paese e facendolo apparire come quello che aveva abbandonato Gheddafi alla protervia di francesi ed inglesi.
Da quel momento le sortite di Berlusconi in politica estera di sono ridotte allo stretto necessario, peraltro includendo uno sfortunato passaggio nella Crimea occupata dai russi, seppure in visita privata nel 2015, e nel ritorno al Parlamento europeo a partire dal 2019 prima di rientrare nel 2022 nel Senato della Repubblica.
Berlusconi è stato insomma un infaticabile ed entusiasta tessitore di relazioni internazionali: ha sempre scommesso sulla fortuna politica degli interlocutori e non di rado ha continuato ad essere vicino nel tempo a personalità politiche segnate da grandi contraddizioni. La Storia, domani, ci dirà del valore e del peso che alcune delle iniziative da lui assunte possono avere realmente avuto. L’agiografia inopportuna di alcuni e le invettive rancorose di altri non possono definire con rigorosa generosità il profilo dell’italiano più noto e pirotecnico di questo inizio del terzo millennio.
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