Se Shogunla pluripremiata serie agli Emmy 2024, ci ha condotto nella più profonda e sconosciuta storia medievale giapponese, Pachinko – La moglie coreana ci apre le porte della storia del Movecento di quel lontano Paese. Anche in questo caso il punto di osservazione, cioè quello degli sconfitti, è quello dei giapponesi e dei popoli che vivono nel sud-est asiatico. Un mondo lontanissimo, sostanzialmente a noi sconosciuto, che solo la forza straordinaria delle nuove piattaforme digitali e il loro spirito globale ci ha aperto improvvisamente. Eppure quel mondo è così simile al nostro, ci appare allo stesso tempo speculare e identico, intriso di grande storia e di vita quotidiana, sopratutto se riletto attraverso una sorta di neorealismo, modello narrativo a noi consueto.



La storia raccontata da Pachinko – La moglie coreana ruota intorno alla vita di Sunja, una signora di una certa età che incontriamo a Osaka, negli anni Ottanta. Vive agiatamente, può permettersi una vecchiaia dorata, ma è fedele alle sue abitudini. Suo figlio gestisce una sala giochi affollatissima e che li ha resi ricchi.



“Pachinko” infatti è il nome di un gioco d’azzardo, una via di mezzo tra una slot-machine e il nostro bingo, molto diffuso in oriente e di origine coreana. La famiglia di Sunja non ha perso il ricordo delle sue origini, anche perché ancora oggi i coreani sono considerati in Giappone immigrati di seconda categoria, e negli anni sono stati maltrattati e discriminati come da noi i meridionali. Vittima di questo pregiudizio razziale è anche il nipote di Sunja, Solomon, che pure ha studiato in America e ha avviato una promettente attività nel settore finanziario. Punito durante una trattativa, finisce in una storia poco trasparente di investimenti dietro cui c’è la malavita giapponese.



Ma la storia di Sunja inizia molti anni prima. In un piccolo paese di pescatori in Corea, qualche anno dopo la fine della Prima guerra mondiale. Il dominio giapponese rende in quegli anni la Corea un Paese molto povero e alla mercé dei traffici commerciali di personaggi senza scrupoli. Ancora giovane e bella Sunja si innamora di Hansu, un giovane coreano al servizio dei giapponesi. Quando però la ragazza gli rivela di essere rimasta incinta scopre che Hansu è già sposato in Giappone e può offrigli solo una vita da mantenuta. Che Sunja orgogliosamente rifiuta, pur sapendo di scegliere così un’esistenza dura e piena di sacrifici.

Sunja cucina da quando è nata. La madre gestiva una locanda e il padre era un pescatore. La sua specialità sono le ricette tradizionali della cucina coreana a base di pescato. Quello che oggi chiameremo cibo da street-food o finger-food. E cucinando tutti i giorni per tutti che Sunja riuscirà a superare i momenti più difficili della sua vita. Quelli di una donna costretta a emigrare e che poi si trova coinvolta in tutti i momenti più drammatici della storia sia della Corea che del Giappone: dall’inizio della Seconda guerra mondiale alle bombe su Hiroshima e Nagasaki, dalla guerra in Corea tra Nord e Sud alla dominazione “economica” americana. Sunja ha cercato di nascondere al figlio Noa chi fosse il suo vero padre, ma Hansu non ha dimenticato Sunja e l’unico figlio maschio, e cerca in ogni modo di proteggerli e dare loro delle opportunità.

La seconda stagione di Pachinko (gli otto episodi sono disponibile su Apple TV+ da settembre) è molto più bella della prima. Potremmo definirlo un capolavoro del neorealismo, in cui troviamo tutti gli elementi di quello che ha fatto grande questo genere cinematografico in Occidente. La storia è di una struggente e disarmante verità, Sunja è nella sua resilienza – mai questo termine potrà essere più appropriato – una donna coraggiosa e forte come solo le nostre nonne sono state capace di essere. Donne che si piegano ma non si spezzano, mai. Un monumento alla resistenza umana, che può essere solo femminile.

Lo scorrere in parallelo di tre momenti così lontani tra di loro (il dopoguerra in un Giappone umiliato e sconfitto, la rinascita economica attraverso un vero e proprio boom, la crisi di valori degli anni Ottanta) rende Pachinko come un libro di storia e una rilettura audace di un dramma collettivo. Mai ci era capitato di vedere la realtà  – anche noi italiani, popolo sconfitto e umiliato e poi risorto, abbiamo rimosso tutto questo dalla nostra storia – attraverso gli occhiali speculari di un Paese lontano e collocato dall’altra parte del mondo. In fin dei conti era un nostro alleato. Storie parallele, ma poi non così diverse, se le guardiamo in profondità.

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