Che storia triste e tenera, quella di Angie Valeria, due anni, e di suo padre Oscar. Triste, perché finisce male, la bimba e il padre abbracciati nella morte, a faccia in giù, nelle acque fangose del Río Grande. Il Río Grande, il confine fra Messico e Stati Uniti, il confine della speranza. Avrebbero forse potuto attraversarlo legalmente, Oscar e Angie e mamma Tania, emigrati dal Salvador in caccia del “sogno americano”. Ma c’era troppa coda agli uffici di frontiera, chissà quando sarebbero riusciti a passare, il fiume era lì, a portata di mano. E Oscar ci ha provato. E c’era quasi riuscito: ha portato di là la bimba, è tornato per prendere la madre. Ma Angie, chissà, si è spaventata a trovarsi di là da sola, sperduta, che tenerezza, questa bimba che si caccia di nuovo in acqua verso il padre. Che è tornato da lei, ma stavolta la corrente è stata più forte, li ha sommersi, li ha sconfitti.
Ma triste anche perché, subito, sulla foto di Oscar e Angie, del loro ultimo abbraccio, tenero, struggente, si sono lanciati tutti. Tutti ne hanno fatto un pretesto per accusare Trump, per accusare l’America, per accusare qualcuno. Lo capisco, in fondo. Tutti patiamo lo scandalo per il dolore innocente. Tutti vorremmo che il dolore innocente non ci fosse. Tutti abbiamo la tentazione di pensare che, se solo le cose fossero diverse, il dolore innocente non ci sarebbe più. Che se il cattivo venisse sconfitto il mondo sarebbe migliore. Finora, non è stato così. Abbiamo abbattuto tiranni, e abbiamo glorificato tiranni peggiori. Abbiamo eliminato ingiustizie, e abbiamo costruito ingiustizie più mostruose.
Com’è tenera, la storia di Angie e di Oscar, e di mamma Tania, vedova e senza la figlia. Che desiderio fa crescere, di diventare un po’ più capace di voler bene ai piccoli e ai grandi che mi trovo intorno, qui e ora.