Era il 26 luglio di sei anni fa. Saint-Étienne-du-Rouvray è una cittadina di circa 30mila abitanti nel dipartimento della Senna Marittima, in Normandia, estremo nord della Francia. E’ il periodo buio della jihad che dalla Siria e dall’Iraq dove si è costituito da un paio di anni lo Stato islamico retto dagli estremisti radicali dell’Isis, sta colpendo anche l’Europa, al cuore della cristianità. Gli jihadisti infatti usano la motivazione della guerra fra religioni per portare avanti il loro vero scopo: sovvertire l’ordine europeo, la democrazia, sobillando i giovani dell’ultima generazione di migranti giunti da ogni parte del Nord Africa. Gente che non si è mai inserita nella comunità dei paesi che li ospitano, un po’ per l’incapacità delle istituzioni che hanno creato ghetti-dormitori alle periferie delle grandi città, un po’ per loro volontà. E’ facile attraverso i social network sobillare la loro rabbia, la loro solitudine, creandone dei lupi solitari, combattenti pronti a immolarsi per l’Islam con attentati clamorosi o anche con gesti singoli.
Quel 26 luglio due giovani, poi identificati come Adel Kermiche e Abdel Malik Nabil Petitjean, entrano nella chiesa della cittadina mentre si sta celebrano la Santa Messa. Prendono in ostaggio cinque fedeli tra cui il sacerdote ultraottantenne Jacques Hamel. Una suora, che stava prendendo parte alla funzione, esce non vista dalla chiesa e chiama le forze dell’ordine. Ma è troppo tardi. Mossi da una violenza bestiale i due sgozzano l’anziano sacerdote. Le forze dell’ordine circondano la chiesa, i due cercano di uscirne facendosi scudo con tre ostaggi armati di pistole al grido di battaglia degli jihadisti: “Allahu akbar”, Dio è grande. I poliziotti li uccidono. Si scoprirà poi che Adel Kermiche era in regime di controllo giudiziario mediante braccialetto elettronico. Una clamorosa falla, come tante altre, dei servizi di sicurezza francesi. Jacques Hamel era nato il 30 novembre 1930 a Darnétal. Il 30 giugno 1958 era stato nominato vicario nella chiesa di Sant’Antonio di Le Petit-Quevilly, nel 1967 a Notre-Dame de Lourdes di Sotteville-lès-Rouen. Nel 1975 era diventato parroco a Saint-Pierre-lès-Elbeuf, passando poi a Cléon nel 1988. Nel 2000 entrò a far parte della chiesa di Saint-Étienne e nel 2005, a 75 anni, quando sarebbe potuto andare in pensione, preferì rimanere come prete ausiliario. Non era mai successo in epoca moderna che un sacerdote venisse uccisa mentre celebrava la messa. Il 26 ottobre dello stesso anno papa Francesco autorizza l’avvio del processo di beatificazione nonostante non sia trascorso il periodo canonico previsto, cinque anni, per l’avvio della pratica.
Per l’arcivescovo di Sydney Anthony Fischer, membro della Congregazione per la Dottrina della Fede, padre Hamal è morto “in odium fidei”, in odio alla fede, termine utilizzato dalla Chiesa cattolica per i casi di martirio. Era conosciuto per il suo dialogo ecumenico e interreligioso con i musulmani e anche con la comunità ebraica, che visitava occasionalmente. La chiesa dove è stato ucciso è diventata un luogo di pellegrinaggio. “I fedeli vanno alla chiesa o alla tomba di padre Hamel, da soli o in gruppo” ha spiegato ad Aiuto alla Chiesa che soffre padre Paul Vigouroux, anche lui sacerdote della diocesi di Rouen e postulatore della causa di beatificazione. Vigouroux dice che questo fervore è dovuto al fatto che la figura di padre Jacques parla all’uomo contemporaneo di un uomo che ha vissuto nella semplicità, amando la sua quotidianità. Durante il processo per dimostrare la santità del sacerdote francese, sono stati riportati alcuni miracoli e guarigioni che hanno anche la testimonianza di medici. “C’è l’esempio di una persona che afferma di aver posato le mani paralizzate sulla tomba di padre Hamel ed è stata guarita” dice il postulatore. “Abbiamo la testimonianza del suo medico. Ci sono certamente elementi soprannaturali che ci incoraggiano a continuare il nostro lavoro”.