PAGAMENTI PA, ITALIA DEFERITA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
Italia deferita dalla Commissione Ue alla Corte di giustizia europea per il mancato rispetto della direttiva sui tempi di pagamento, vicenda per la quale il nostro Paese era stato già condannato il 28 gennaio 2020. Stessa decisione è stata presa anche per Belgio e Grecia, ma secondo il Sole 24 Ore, la decisione nel nostro caso è un segnale negativo nel negoziato sulla proposta italiana di rimodulazione del Pnrr, visto che ha al centro proprio la richiesta di rinvio degli otto obiettivi su tempi e ritardi di pagamento di Pubblica amministrazione centrale, Regioni, enti locali e sanità. Solo questo pacchetto assorbe il 60% delle 13 proposte di proroga che il governo Meloni ritiene essenziali per centrare gli obiettivi di questo semestre. Dunque, alla Corte di giustizia europea si riapre la battaglia sulla violazione delle regole che impongono alla Pa di pagare in 30 giorni (60 per la sanità).
In questi anni la Pa ha tagliato drasticamente i tempi medi di pagamento delle fatture ai fornitori: nel 2017 si attestavano a 54 giorni, ora si avvicinano a 30 giorni. Nel frattempo, il governo ha introdotto sanzioni a carico dei dirigenti degli uffici che rischiano di vedersi tagliare di almeno il 30% i premi di risultato. Tutto ciò, insieme alla piattaforma Init per il monitoraggio dei tempi di liquidazione delle fatture, non basta però a cancellare i casi di ritardo. L’Ue non ammette esitazioni. «Le autorità pubbliche danno l’esempio nella lotta contro la cultura dei cattivi pagamenti nel contesto imprenditoriale», scrive la Commissione nel provvedimento di deferimento. I ritardi nei pagamenti della Pa ricadono sulle imprese, riducono la loro liquidità, frenano la crescita e alzano i costi sui processi di innovazione ecologica e digitale. Non sfugge il particolare che il deferimento sia stato riservato a Paesi ad alto debito come Italia (140,2% del Pil), Grecia (151,9%) e Belgio (106,4%).
ITALIA BOCCIATA ANCHE SU BALNEARI E ASSEGNO UNICO
Ma l’Italia è stata bocciata dall’Ue anche su concessioni balneari e assegno unico ai figli. Sul primo fronte, Bruxelles ha deciso dopo tre anni di tira e molla di portare avanti la procedura d’infrazione aperta nel 2020. In questo caso, si rimprovera al nostro Paese la mancanza di libera concorrenza. L’Italia ha due mesi di tempo per conformarsi. L’Ue contesta la valutazione italiana secondo cui la quota di aree occupate dalle concessioni equivale solo al 33% delle aree disponibili. Questa analisi, spiega, «non riflette una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di concessione balneare». In generale, si rimprovera all’Italia la mancanza di «leale cooperazione» nei confronti dei suoi partner, tenuto conto di come il paese sulla vicenda abbia trascinato i piedi.
Come evidenziato dal Sole 24 Ore, l’esecutivo comunitario ha deferito l’Italia anche sull’assegno unico per i figli a carico, introdotto nel 2022. Per la Commissione Ue «questa norma viola il diritto dell’Unione in quanto non tratta i cittadini comunitari in modo equo» provocando discriminazione. Inoltre, il regolamento europeo sul coordinamento della previdenza sociale tra i Paesi membri vieta ogni requisito di residenza per la ricezione di prestazioni di sicurezza sociale, come l’assegno familiare. Anche in questo caso il governo ha due mesi di tempo per mettersi in regola, altrimenti la Commissione europea potrà adire la Corte europea di Giustizia.