Per chi segue il Festival di Sanremo 2025, oggi è il giorno in cui comincia il conto alla rovescia ufficiale prima del debutto l’11 febbraio al teatro Ariston: il momento in cui alla stampa vengono svelate le trenta canzoni dei Big in gara. Al primo ascolto abbiamo la conferma di una sensazione che l’annuncio dei partecipanti aveva parzialmente disatteso: il 75° Festival della Canzone Italiana, il primo del Conti bis dopo il quinquennio di Amadeus, sarà un festival di parziale restaurazione, con la reintroduzione di parecchie ballate, pezzi romantici e malinconici non sono nei tesi, ma anche nell’impostazione musicale che, oltre alla dance e alla trap, riporterà sul palco infiorato i cantautori, i suoni del pop quasi brit di fine anni ’90 e inizio anni 2000.
Al primo ascolto delle canzoni Sanremo 2025, quelli che hanno personalmente convinto di più chi scrive, sono anche quelli più facilmente identificabili con uno stile personale e una propria ricerca sonora, ossia Lucio Corsi, Brunori SAS e Massimo Ranieri, ma alcune potenziali sorprese si scorgono, su tutte Serena Brancale. Per la vittoria, a oggi ci sembrano particolarmente accreditati Fedez e Francesca Michielin, con Noemi a seguire, ma una prima controprova l’avremo il giorno della prova generale, quando potremo sentire le canzoni live con l’orchestra.
Le pagelle delle canzoni di Sanremo 2025: i top e flop della nuova edizione
Gabbani – Viva la vita: tenta il bis di vittorie in questo Sanremo 2025, con una ballata vecchio stile, appunto, conta sul songwriting più che su suoni e ritmi, si pone come collegamento diretto con il passato mandato di Conti come direttore artistico: ma per lui, confrontarsi con le durate più brevi e struttura del nuovo pop, come da regolamento, non è facile e il pezzo sembra un po’ spezzato. Punta molto sull’apporto dell’orchestra.
Clara – Febbre: l’attacco è identico a Diamanti grezzi, sia negli archi sia nell’andamento della melodia vocale e nell’arrangiamento. Manca il ritornello aperto e rischia di essere dimenticata anche più velocemente della precedente. Vezzosi i tocchi francesi nel testo (non saranno gli unici).
Willie Peyote – Grazie ma no grazie: avvio brasileiro per la canzone portata a Sanremo 2025, passo vocale che ricorda il Daniele Silvestri ironico, quello di Kunta Kinte, un pezzo pensato come tormentone per i social e l’ascolto Spotify, vagamente satirico. Strizza l’occhiolino alla politica e gioca con il coro, ma non va troppo oltre a quanto fecero in passato gli Articolo 31 (citati nel pezzo).
Noemi – Se t’innamori muori: Mahmood e Blanco tra gli autori, un brano che punta alla vittoria, in un Momento storico avverso alle classiche ballate, ma che potrebbe ribaltarsi proprio a partire dalla nuova (quasi) direzione artistica. Gli autori si adattano al mondo poetico e alla voce della cantante e il pezzo, niente di nuovo, è usato sicuro ed efficace, anche se pure lei pare troncare la canzone per stare nei tempi.
Lucio Corsi – Volevo essere un duro: cantautorato classico, rime e atteggiamenti auto-ironici, archi anni ’70 a punteggiare il ritornello e testo scritto da un woody Allen romano. Il talento lo senti nelle aperture elettriche e in quella sorta di special sbilenco che apre l’ascolto: rispetto al suo percorsi, Corsi pare surplace, rispetto agli altri partecipanti pare un fuoriclasse.
Rkomi – Il ritmo delle cose: pura rap/dance, che usa parole inusuali come pornografia e decrescendo e la usa addirittura come perno ritmico e concettuale. Cerca di avvolgere sensualità del ritmo e dei suoni (Shablo tra gli autori), mentre il testo è tipico dei figli dell’algoritmo che sputano sull’algoritmo, ma che non siamo sicuro lo vogliano rinnegare davvero.
The Kolors – Tu con chi fai l’amore: ormai sono costretti a far ballare, senza manco più provarci a costruire una canzone di altro tipo. Questo è il solito pezzo anni ’70 e ’80, stavolta stile Boncompagni e Carrà, con tocchi di Malgioglio che da co-conduttore apprezzerà. Spiaggia e dancefloor, prevedibili coreografie sul ritornello. Si sono accontentati, e quindi, come da proverbio, godono.
Rocco Hunt – Mille vote ancora: mandolino a fare da sottofondo alla solita nostalgia napoletana concettualmente indigesta, tra i bassi e i bambini, ‘o cafè e ‘o mare. Una canzone lontana anni luce da Geolier, secoli luce da Liberato.
Rose Villain – Fuorilegge: se l’anno scorso era tra le artiste a essersela giocata meglio, quest’anno pare una delle più cocenti delusioni: tanto auto-tune, mescolato alla sua bella voce, stessa struttura del brano precedente con tanto di bang bang campionati, un po’ più articolata, ma meno efficace sia nella melodia che nel ritmo. Ritornello strano, troppo breve. Finale con mani a tempo stile gospel che appare fuori tono. Confusa.
Brunori SAS – L’albero delle noci: non deve reinventarsi, deve solo farsi conoscere dal pubblico del festival di Sanremo 2025 e non deludere i suoi fan e ci riesce. Testo ovviamente più pensato ed emozionante della media (si parla di paternità: “questa felicità non la posso sostenere”), con un gioco narrativo dentro la canzone, come un piccolo racconto, vocalità poco sanremese per una canzone il cui obiettivo naturale è il premio della critica. Finalmente, in gara, sentiamo un ritornello bellissimo.
Serena Brancale – Anema e core: spagnoleggiamenti partenopei d’ordinanza, ma reinterpretati con intenzione e convinzione, voce e interpretazione con tocchi di originalità vocale senza esagerare.
Irama – Lentamente: vocalizzi (addirittura sulla lettera U) e vocione, mostra la corda l’idea di essere il nuovo Cocciante. Il brano non fa un passo rispetto a quello dello scorso anno, se non che nel secondo ritornello entra un accompagnamento tradizionale, con batteria anni ’90 e chitarra in stile Coldplay (Fix You nella fattispecie).
Marcella Bella – Pelle diamante: l’ormai tradizionale operazione di ricollocamento in ambiente dance pop per una vecchia gloria, da Rettore ai Ricchi e poveri fino ai Cugini di campagna, ma l’andamento vocale è il suo (ricorda un suo controversissimo brano degli anni ’80, Miao). Simpatia e accondiscendenza per l’operazione (in sala stampa scatta un timido applauso, ma musicalmente dubbi, a partire dal testo trito, con l’anziana che deve dimostrare al mondo di non esserlo.
Achille Lauro – Incoscienti giovani: le sue sono, da un po’ di tempo, ambizioni mal riposte, con gli archi da aria lirica (Casta Diva), lo struggimento generazionale, l’arrangiamento rétro, l’impostazione romanticamente disperata. E poi all’improvviso, arriva il sax del Venditti anni ’80. Un grosso boh.
Elodie – Dimenticarsi alle 7: le manca ancora un passo per il totale divismo, ma quel passo non lo farà – almeno sospettiamo – in questa occasione. Pop da discoteca con apertura melodica e orchestrale e ritornello da pista da ballo: era già tutto previsto. Punterà il grosso delle sue chance sulla performance fisica e la capacità di sedurre il pubblico, molto più che sul ritornello che orecchia i duetti Mina-Battisti.
Tony Effe – Damme ‘na mano: sembra chiaro, oggi più di ieri che sia stato chiamato a Sanremo 2025 principalmente per la copertura stampa e le polemiche (vedasi anche il dissing con Fedez). Pezzo arabeggiante che poi, come il titolo fa immaginare, cita Garinei e Giovannini, approdando a Califano, a Mannarino, ad Alida Chelli (Sinnò me moro), e che, in dialetto romanesco, cerca di ricollocarsi come vittima dell’amore. Però è un pezzo quasi nullo.
Massimo Ranieri – Tra le mani un cuore: la coppia Tiziano Ferro più Nek tra gli autori della canzone portata a Sanremo 2025, più un interprete di un’altra classe (non solo anagrafica) e il gioco è fatto. Ritornello un po’ antico ma bello, anche qui il sax soffuso e seducente che dà un’aria emozionante al brano. Lo special è un po’ banalotto, ma il raddoppio del ritornello finale per favore la cantabilità è una mossa vincente.
Sarah Toscano – Amarcord: suona come un’altra Clara ma più convinta e meglio prodotta. Il ritmo trascina oltre la banalità del testo e il ritornello che usa armonie e progressioni classiche s’imprime in testa.
Fedez – Battito: si sposta anche lui verso la trap, nelle melodie, nei suoni, nell’arrangiamento. Fin troppo facile leggere nel testo, che oltre agli amori delusi parla della sua salute e del suo equilibrio mentale, un’invettiva contro Chiara Ferragni. Il pezzo ha variazioni di ritmo e atmosfere abbastanza inusuali e ardite per Sanremo, ma può funzionare sulla lunga distanza.
Coma_Cose – Cuoricini: il loro pezzo, come un po’ tutta la loro musica, è una satira che mostra il lato oscuro dell’infantilizzazione del pop, l’ironia è nel testo e anche nella musica, come una versione iper pop dei pezzi più scanzonati dei Baustelle.
Giorgia – La cura per me: nel testo della canzone portata a Sanremo 2025 si sente la mano di Blanco, conditi da un arrangiamento da r’n’b anni 2000, che poi, purtroppo, diventa cascame anni ’80 nel ritornello. Sembra che la voce e la musica, la canzone e la sua interprete vadano in direzioni opposte. Osare, giusto, ma con la canzone sbagliata: e ci si ritrova qui a dire quanto sia brava, ma quanto il pezzo non ci sia. Sarà la delusione di questo Sanremo 2025?
Olly – Balorda nostalgia: anche qui si parla di nostalgia anche se di tipo sentimentali, con un’altra ballatona vecchio stile che nel ritornello ruba a Finiscimi di Sangiovanni. Piacione il giusto può puntare abbastanza in alto.
Simone Cristicchi – Quando sarai piccola: una mamma anziana e un figlio, lo spettro della senilità e dell’Alzheimer, a cui vanno aggiunti un modo di cantare cantilenante, per un brano che gioca sfacciatamente col pathos, al limite del ricatto emotivo. Arpe e archi che con il testo e la melodia hanno una presa facilissima sul pubblico sanremese, come consenso di parte dei giornalisti dimostra: in tempi diversi avrebbe avuto il podio in tasca.
Emis Killa – Demoni: ritmo dance senza nessuna invenzione, né vocale ne musicale, come se questo fosse lo standard del nuovo Festival di Sanremo 2025 e ci si limitasse a esserci, a non sembrare fuori dal giro. O tempora o mores, diceva qualcuno.
Joan Thiele – Eco: roots rock e soul nei suoni di batteria e chitarra, un’atmosfera lievemente western declinata in chiave black, suoni poco sanremesi (nel bene o nel male) con rimandi a Amy Winehouse e alla Mina degli anni ’60, nell’arrangiamento più che nella voce. Ci si può accontentare.
Modà – Non ti dimentico: Kekko insiste nella voce alla Facchinetti e nell’impostazione pomposa della sua musica che li conferma i Pooh dei nostri giorni (come se fosse necessariamente una conquista), ma stavolta si spostano in zona Negramaro in modo abbastanza sfacciato, soprattutto nella progressione ritmica. Un brano che non tace mai, che il cantante non fa mai respirare, con uno special banalissimo pensato per il trailer di un film di Muccino.
Gaia – Chiamo io chiami tu: nel testo e nei suoni della canzone portata a Sanremo 2025, ovviamente, spagnoleggianti (flamenco, per la precisione), una nuova Elettra Lamborghini pronta per il mojito sotto l’ombrellone. Anche lei punterà tutto su immagine, ma ci pare abbia meno carisma e musicalità di Elodie, nonostante usi lo special per mostrare la voce, ma appare una parentesi estemporanea.
Bresh – La tana del granchio: il titolo è il più bello del lotto, il brano meno. Chitarra folkeggiante, grancassa e vociaccia sgraziata timbro di fabbrica che poi non manca di intonare il ritornellone melodico, pensato per tutte le età. un po’ dalle paprti di Mr. Rain, ma molto meno ricattatorio.
Francesca Michielin – Fango in paradiso: metafore e simboli un po’ a casaccio nel testo per una canzone che sembra fatta di pezzi di brani diverse, come il nuovo pop esige; ma questo è il pop “classico” e il gioco non regge. Il ritornello è buono e sicuramente può fare presa sul grande pubblico, ma anche qui, troppe parole in metriche tradizionali, come una canzone di 4’ e mezzo strizzata in 3 minuti. Testo più interessante della media delle canzoni di questo Sanremo 2025.
Shablo – La mia parola: è una street song, lo dichiara fin dall’abbrivio, e potrebbe essere la potenziale sorpresa del festival di Sanremo 2025. Un rap old school anche nei campionamenti, con testo autoreferenziale ma dal mood piacevolissimo.