Il 10 agosto è apparsa in streaming sulla piattaforma di Netflix la serie tv Painkiller, scritta dai creatori di Narcos. Nonostante il periodo estivo, la serie ha fatto il botto. Il tema è scottante: dal 1995 l’azienda farmaceutica americana Purdue Pharma ha messo in commercio l’Oxycontin con una campagna di marketing aggressiva e con informatori scientifici altamente motivati e aggressivi nei confronti dei medici. Il farmaco è un antidolorifico, un oppioide (a base di eroina), che ha portato alla dipendenza negli Usa di milioni di persone con mezzo milione di morti stimati.



Faccio un passo indietro. Sono un lettore dei thriller di Michael Connolly, sia quelli che riguardano il detective Harry Bosch che l’avvocato Mickey Haller. Di questi personaggi sono state tratte delle avvincenti serie tv, che tra l’altro vi ho proposto anche recentemente (Avvocato di difesa – The Lincoln Lawyer).



Nel romanzo “La lista”, uscito negli States nel 2008, l’avvocato della Linconl è stato fermo due anni per disintossicarsi dagli antidolorifici utilizzati in maniera massiccia dopo essere stato ferito in una sparatoria. Nel libro “Doppia verità” del 2017, Bosch, sotto copertura, veste i panni di un tossicodipendente per sgominare una gang spacciatrice di ossicodone e fentanyl.

Un passo avanti. Ho letto che il 23 agosto la Corte Suprema americana ha sospeso le trattative di patteggiamento giudiziario con l’ex proprietario della Purdue Parma. Ma vedremo poi. Da lì ho visto la serie tv, composta da sei puntate da cinquanta minuti che ricostruiscono la dolorosa storia.



La narrazione è la ricostruzione dei fatti dalla nascita del farmaco alla sua commercializzazione, al capillare aumento delle prescrizioni mediche, alle morti. Dietro questo, la proprietà era cosciente che la medicina venduta a dismisura creava un business immenso. Il fatturato per l’Oxycontin passò dall’immissione nel mercato (1996) in sei anni da 44 milioni a 3 miliardi di dollari di vendite. Nel 2001 l’azienda produttrice investì in marketing e promozione 200 milioni di dollari. Una capillare rete di promotori scientifici (leggi venditori e persuasori) attraversarono i vari Stati americani convincendo i medici a prescriverlo. La genialità diabolica fu convincere i medici ad aumentare man mano la grammatura del farmaco. I medici hanno prescritto, i richiedenti sono diventati dipendenti, tossicomani. Da lì il passo è stato breve: un popolo di drogati e la malavita si è intromessa nel momento in cui alcuni Stati hanno iniziato a limitarne il consumo.

Ogni puntata inizia con una persona, non un attore, che ha perso un proprio caro e dice che tutto questo è reale. I protagonisti sono la detective della Procura Edi Flowers (Uzo Aduba) e Richard Sackler (Matthew Broderick), proprietario della Purdue Pharma. È lei che racconta la nascita del farmaco e tutto quello che accade. È tenace, arrabbiata, ma indaga a più non posso. Lui è tenace come lei e diabolico nel perseguire il fine.

Quando a un certo momento l’azienda è chiamata a rispondere al Congresso americano gira la frittata: il problema è di chi utilizza la medicina. Anzi, avvia una campagna d’informazione contro chi abusa del farmaco negando che potesse creare dipendenza.

La verità è che negli anni i medici erano valangati di dollari per alzare le grammature del medicinale, i profitti si alzavano, così come il numero dei fruitori diventando dei dipendenti, drogati e poi dei morti.

La serie è ricostruita come un’inchiesta giornalistica attraverso la detective Edi Flowers che racconta gli inizi, le indagini, le forzature subdole e i meandri che hanno alimentato questo disastro, paragonato a un certo punto a un’epidemia.

Il ritmo è incalzante, non ci si scolla. Il filo rosso è il meccanico Glen Kryger (Taylor Kitcsh) che per alleviare i dolori causati da un incidente sul lavoro diventa dipendente del farmaco: un relitto squassando la sua vita e quella della famiglia. Parallelamente abbiamo Shannon Shaeffer (West Duchovny), promotrice del prodotto che alla fine si pentirà.

Richard Sackler è silenzioso e sempre deciso con una macchinazione diabolica negli obiettivi e nelle azioni. È interpretato da Matthew Broderick diventato famoso per War Games – Giochi di guerre (1983), poi sottotraccia finora, ma questa interpretazione è notevole. La detective è Uzo Aduba, (Orange Is the New Black), passionale, volitiva, con elevato desiderio di giustizia. Molto brava.

La narrazione è un buon mix incalzante di situazioni, girata e con un montaggio serrato, con immagini di repertorio appropriate e flashback in alcuni casi esasperati, che rendono però bene l’idea di cos’è accaduto. E anche i momenti dolorosi sono raccontati in maniera non lacrimosa ma reale. Buonissima l’idea che quando Richard Sackler è da solo ha sempre a fianco il fantasma dello zio che ha fondato l’azienda e che lo incita nei passi da compiere.

Il finale è amaro, nel settembre del 2021 si arriva a un patteggiamento con la Procura (sotto pressione dei politici) in cui Sackler deve abbandonare la Purdue Pharma mettendo sul piatto più di 4,5 miliardi di dollari di indennizzo evitando la bancarotta dell’azienda per le cause intentate dai vari Stati americani, ospedali, parenti dei morti, malati, ecc. In cambio niente galera, assoluzione rispetto alla conoscenza e volontà di avere avuto profitti con gli oppioidi e immunità legale totale per Sackler e soci. Uno scandalo.

Così termina il sesto episodio della serie.

Ma… poche settimane fa la Corte Suprema degli Stati Uniti ha messo in stand-by l’accordo del tribunale. Una lama a doppio taglio, se venisse annullato il patteggiamento con la Purdue Pharma partirebbe l’istanza di bancarotta, nessuno prenderebbe denaro, processi su processi e forse Sackler & co. andrebbero al gabbio. Anche i vari Stati ed enti sono contrari a bloccare l’accordo.

Vedremo che succederà. Potrebbe essere uno spunto per continuare la serie tv con uno spin-off.

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