ONDATA DI ARRESTI IN PAKISTAN DOPO I RAID, ANCHE I DUE CRISTIANI ACCUSATI DI BLASFEMIA

La notizia è duplice: se da un lato vi sono attacchi e raid mirati contro i cristiani di Jaranwala per 21 chiese incendiate e imprecisate abitazioni della comunità locale, dall’altro due cristiani accusati da alcuni musulmani di aver scritto offese sul Corano. Risultato, la polizia del Pakistan ha arrestato sia i primi che questi ultimi. I cristiani che vivono nella città di Jaranwala, nel quartiere di Faisalabad, si sono trasferiti rapidamente in luoghi più sicuri mentre la folla musulmana si scatenava mercoledì: sono almeno 129 i cittadini islamici arrestati nelle ultime ore per quegli attacchi.



Di contro però dietro le sbarre finiscono con l’accusa di blasfemia anche i due cristiani ritenuti “responsabili” della reazione feroce della maggioranza musulmana: «hanno profanato il Corano», accusano le autorità del Pakistan nel dare notizia dell’arresto dei due cittadini cristiani accusati ora di blasfemia e ritenuti colpevoli di aver “acceso” la protesta di migliaia di musulmani. Secondo quanto riportato da Asia News, il cristiano a cui sono attribuite le offese al Corano si chiama Raja Masih ma in realtà risulta essere un analfabeta che dunque non avrebbe mai potuto scrivere alcuna offesa nei confronti del Testo Sacro dell’Islam: P. Khalid Rashid Asi, direttore della Commissione per la Giustizia e la pace della diocesi di Faisalabad, ad Asia News racconta come l’attacco di Jaranwala «mostra l’estrema necessità di affrontare l’escalation delle tensioni. Ho il cuore spezzato: in questi giorni avevamo espresso le nostre preoccupazioni e chiesto al governo di proteggere le minoranze religiose; è passato appena un giorno dalla festa dell’indipendenza e siamo testimoni di un incidente così brutale. Questo è il vero motivo per cui il nostro Paese non è in buoni rapporti con la comunità internazionale e sta affrontando molteplici problemi politici e finanziari».



LA CONTA DEI DANNI DOPO L’ATTACCO DEI MUSULMANI IN PUNJAB ALLE CHIESE DEL PAKISTAN

Le Chiese del Pakistan fanno la conta dei danni a 24 ore dall’inquietante e violento attacco della folla musulmana contro i centri religiosi cristiani di Jaranwala, nel Punjab: si parla di almeno 21 chiese incendiate e un numero ancora non precisato di case della comunità cristiana del luogo. Il tutto dopo che per giorni i quartieri a prevalenza cristiana di Jaranwala erano stati teatro di violenze interreligiose: «Stiamo sollecitando il governo a effettuare un’indagine indipendente e a stabilire severe punizioni per i responsabili di questi attacchi», denuncia il direttore esecutivo del Consiglio unito delle Chiese, Samson Suhail, informando sulla conta dei danni per la minoranza cristiana in Pakistan.



L’attacco scattato con forza nella giornata di mercoledì 16 agosto ha una “scintilla” che ha scatenato la rabbia della folla musulmana: secondo quanto riferito dalle forze dell’ordine, due cittadini islamici avrebbero trovato nella zona della comunità cristiana alcune pagine del Corano con presunte scritte blasfeme. Come spiega il resoconto di “Vatican News”, le pagine sarebbero state portate ad un leader religioso locale che avrebbe invitato tutti i musulmani di Jaranwala a protestare con forza, usando anche gli altoparlanti delle moschee: a quel punto la rabbia della popolazione non si è più frenata, con l’attacco a più di 30 chiese o istituti religiosi cristiani. Maggiormente devastate tre chiese presbiteriane, una chiesa cattolica, una chiesa della Full Gospel Assembly e un’altra dell’Esercito della salvezza. La polizia e i militari sono intervenuti in massa per placare gli animi qualche ora dopo l’inizio dei raid e per questo non è riuscita a evitare pesanti disordini: non si registrano feriti al momento, quantomeno non ne sono emersi finora.

CHIESA SOTTO ATTACCO IN PAKISTAN: LE REAZIONI DELLA POLITICA E DEI VESCOVI

«Sono sconvolto dalle immagini, saranno presi provvedimenti severi contro coloro che violano la legge e prendono di mira le minoranze»: così il primo ministro pakistano ad interim Anwaar-ul-Haq Kakar, annunciando la forte presa di posizione contro i vandali entrati in azione ieri. Il problema è quei “vandali” non sono una novità in un Pakistan dove la libertà religiosa, specie dei cristiani, è a forte rischio non da oggi: se poi ci aggiungiamo la recentissima nuova legge anti-blasfemia approvata dal parlamento pakistano, il dubbio su una libertà sempre meno garantita è quantomeno legittimo (pur anni dopo lo scandalo internazionale del carcere ad Asia Bibi). La nuova legge prevede che chiunque insulti una moglie, un familiare o un compagno del profeta islamico Maometto debba essere condannato all’ergastolo: per la legge manca ancora la firma del Presidente ma l’impressione è che a breve le norme decise dal nuovo progetto di legge saranno approvate e definitive, con la pena minima alzata da 3 a 10 anni.

Anche per questi motivi, i vescovi del Pakistan provano a far sentire la voce della minoranza a corredo degli odiosi attacchi contro le chiese del Punjab: «Questi incidenti – si legge in una nota diffusa del presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, l’arcivescovo di Islamabad-Rawalpindi mons. Joseph Arsad, pubblicata da Asianews – aprono la strada all’insicurezza per le minoranze che vivono in Pakistan. I nostri luoghi di culto e la nostra gente non sono al sicuro. Vi sia un’indagine trasparente su questo tragico indicente in modo che sia ristabilito il primato della legge e della giustizia e si costruisca una società migliore nell’armonia e nel rispetto delle religioni». Per Shahid Mobeen, fondatore dell’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia e docente di Filosofia presso la Pontificia Università Urbaniana, la vita dei cristiani in Pakistan «è continuamente sotto minaccia, sono vittime di una fortissima persecuzione e discriminazione». Dalla fondazione del Pakistan i cristiani stanno via via diminuendo e sono passati dal 20 al 4% della popolazione: «l’estremismo religioso islamico non permette, a chi non è musulmano, di vivere una vita pacifica in Pakistan».

PAUL BHATTI CON LA CHIESA IN PAKISTAN: “BASTA EDUCARE ALL’ODIO”

Raggiunto da “Vatican News” si dice scandalizzato anche Paul Bhatti – già ministro dell’Armonia e delle Minoranze in Pakistan, fratello di Shahbaz Bhatti, politico cattolico pakistano, ucciso nel 2011 – e parla di una violenza «inaccettabile»: «Certi musulmani – afferma – da una parte vogliono mantenere la legge sulla blasfemia e dall’altra non vogliono obbedire alla legge, così invece di denunciare eventuali trasgressioni – che il sistema giudiziario deve poi verificare che siano davvero tali – si fanno giustizia da soli attaccando i cristiani». È ancora Bhatti a lanciare un appello alla politica e alle istituzioni perché fatti come quelli di chiese incendiate non possano essere più tollerate: «In passato abbiamo cercato di abrogare la legge sulla blasfemia. Ma per me questa non è una priorità. La priorità è prima di tutto che gli studenti musulmani non devono farsi giustizia da sé. Se lo fanno devono essere puniti».

In secondo luogo, spiega ancora Bhatti raggiunto dalla stampa vaticana, occorre ancora più promozione del dialogo interreligioso: «se il problema è dei cristiani, se è dimostrato, sarà nostra responsabilità educare la gente a non provocare i musulmani. Ma sarà responsabilità degli insegnanti musulmani educare i bambini che studiano il Corano con i valori comuni della religione, evitando qualsiasi tipo di messaggio di odio, che di solito però viene trasmesso durante l’insegnamento del Corano ai bambini, che crescono con questo messaggio». Se si raggiunge l’obiettivo di un vero dialogo religioso, non solo si riuscirà a proteggere la comunità cristiana in Pakistan, ma si sarà sconfitta la “cultura dell’odio” che permane strisciante in larghe parti del Medio Oriente: «sarà meglio per il Pakistan e per l’Islam stesso, perché credo che l’Islam sia una religione pacifica. Ha ottimi valori comuni, ma essi devono essere visti dalla comunità e da tutti. E se questi sono i valori che i religiosi musulmani rivendicano come loro buoni valori, allora – conclude Bhatti – dovrebbero schierarsi contro queste persone che, di fatto, stanno diffamando l’Islam».