La Fao e il World Food Programme lanciano l’allarme crisi alimentare per 22 Paesi. Di solito è un fenomeno che si verifica soprattutto nelle nazioni in guerra. Ma stavolta la paura di trovarsi senza cibo riguarda anche chi non ha niente a che fare con i conflitti. Come il Pakistan, che rischia, appunto, una crisi alimentare acuta, dovuta alle alluvioni che hanno messo in ginocchio agricoltura e allevamenti, ma anche all’instabilità finanziaria e politica, acuita dall’aumento degli attentati terroristici.



Un problema non da poco anche in termini geopolitici, anche perché potrebbe riguardare, oltre a diversi Paesi africani e del Centro America, anche altri Paesi asiatici, tra cui Afghanistan e Siria. In un momento di difficoltà come questo, spiega Marco Lombardi, docente di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed esperto di terrorismo, il Pakistan potrebbe diventare terreno di confronto tra Cina e Usa.



Professore, quanto è fondato l’allarme sulla possibile crisi alimentare in Pakistan e in altri Paesi?

La crisi è rilevante perché il report del World Food Programme mette a fuoco il problema su 22 Paesi. Per il Pakistan si sommano una serie di criticità: non è in guerra, perché di solito queste situazioni si verificano in nazioni belligeranti, ma c’è stato un impatto rilevantissimo delle alluvioni dell’anno scorso. Hanno portato via circa l’80% delle terre coltivate a grano e provocato la morte di 11 milioni di capi di bestiame. Non solo, il Pakistan sta vivendo una crisi di tipo economico ma anche politico. C’è una grande instabilità che si assomma a tutto questo. Ricordiamoci che è stato arrestato (e poi rilasciato) l’ex primo ministro Imran Khan e che il nuovo governo non incontra i favori della popolazione, che, anzi, sta dalla parte proprio dell’ex primo ministro.



Quanto contano invece i problemi economici?

Negli ultimi tre anni c’è stata una crescita dell’inflazione che è andata dall’8 al 35%, con una notevole perdita del potere d’acquisto: la gente cerca di vivere con due dollari al giorno. Il Pakistan sta per attraversare, perché le previsioni per il 2023 e il 2024 sono in peggioramento, una crisi per fame che sarà spaventosa. La Banca mondiale, a ragione dell’instabilità che caratterizza il Paese, ha tagliato tutte le possibilità di avere altri prestiti, impedendo così la possibilità di importazione. In pratica diminuisce la produzione alimentare a causa degli eventi climatici, ma non ci sono neanche i soldi per comprare ciò che serve all’estero.

Gli attacchi terroristici caratterizzano il Paese da tempo: quanto è grave la situazione in questo campo?

Se guardiamo ai dati del 2022 dell’istituto australiano che definisce il Global Terrorism Index, il Pakistan ha superato l’Afghanistan in termini di morti per attacchi terroristici. Siamo a 650 morti contro i 620 afghani. L’anno precedente in Pakistan erano stati molti meno: 270. Mettiamoci anche questo: una progressiva perdita di sicurezza per la popolazione.

Ma si tratta di un terrorismo interno?

Ci sono tutte le forme di radicalizzazione jihadista, che si sovrappongono agli interessi dei gruppi politici locali. L’aumento così rilevante è legato alla situazione politica del Pakistan.

Un terrorismo nuovo?

No, la violenza politica in Pakistan c’è sempre stata: è quotidiana.

Il Pakistan ha una posizione strategica nel continente asiatico e ha rapporti sia con la Cina che con gli Usa; quanto incidono questi legami sulla situazione attuale e quanto possono costituire una risorsa per tirarsi fuori dalla crisi?

Hanno inciso negativamente per un minor interesse nei confronti del Pakistan dopo il cambio di regime in Afghanistan e la riorganizzazione delle relazioni politiche seguente al ritorno dei talebani. Fino a che c’era da combattere in Afghanistan, il Pakistan era una delle regioni logistiche che potevano servire da appoggio. Ora nel nuovo quadro cambia la sua posizione. Per quanto riguarda il futuro, Cina e Usa possono fare molto: se non si riesce a produrre cibo deve arrivare dall’estero. E allora qui entrano in gioco gli alleati. Bisogna vedere in che modo la solidarietà, che nella politica internazionale è sempre interessata, possa prendere piede, per evitare quella che altrimenti potrebbe essere una delle peggiori crisi di fame che avrà il Paese.

In questo vede più protagonisti i cinesi, che con il Pakistan hanno stretto un accordo per la Via della Seta, o gli americani, da sempre in contatto con i servizi segreti?

Credo più gli Usa. Non so cosa possa scambiare il Pakistan in questo momento con la Cina: Pechino potrebbe intervenire solo ottenendo vantaggi consistenti. Oggi la sua via di ingresso in Pakistan ce l’ha, con un porto nell’Est del Paese. Bisogna vedere se è interessata a intervenire in cambio di qualcosa d’altro che il Pakistan può mettere sul piatto della bilancia. In questo contesto gli americani dovranno decidere come comportarsi verso il Pakistan, vecchio alleato, ma tenendo conto dell’interesse cinese.

Il Paese, quindi, può entrare nella sfera di influenza di una o dell’altra superpotenza?

Prima ancora può essere una zona di confronto tra loro. È tutto ancora aperto. E quando c’è la fame, si è anche in vendita.

Il rapporto della Fao parla soprattutto di Paesi africani ma anche, oltre al Pakistan, di altre nazioni asiatiche, alcune tradizionali punti di provenienza dei migranti che arrivano in Italia e in Europa. C’è da aspettarsi un aumento dei flussi?

La fame ha sempre spinto a spostarsi. Secondo me, però, i flussi migratori vengono aggravati sempre più dagli aspetti politici. Queste carestie colpiscono in tempi duri e rapidi. Chi muore di fame tende a morire dov’è. La gente in questi casi non ha i soldi e neanche le forze per il viaggio.

Il Pakistan non è un Paese in guerra, ma la situazione di tensione a livello mondiale, con la guerra Russia-Ucraina, ha influito sulla sua situazione?

Ha influito perché le guerre influiscono sulla dimensione economica. Oltre alle alluvioni e alla crisi politica che genera insicurezza, conta anche la dimensione globale, che è quella di un’economia di guerra nella quale ciascuno fa i propri interessi.

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