Nel giro di poche ore parlano sia Luca Palamara che Piero Amara, i due protagonisti “lontani” ma anche “vicinissimi” dei due scandali che agitano la giustizia (e politica) italiana: con un’audizione show alla Commissione Antimafia, parla dopo tanto tempo l’ex Csm e Anm, mostrando da vicino i vari accordi e intrecci che diversi giudici hanno intrapreso negli anni scorsi con il Partito Democratico. Nello stesso tempo, Amara è stato scarcerato e con la gip di Potenza ha discusso di moltissimi temi tra cui l’accusa al Csm di essere di fatto etero-gestito da Palamara in accordo con Ferri e Lotti (all’epoca dei fatti, entrambi nel Partito Democratico).
È proprio l’asse giudici-Dem a rappresentare le maggiori novità sul fronte giustizia, in attesa che una vera e propria riforma strutturale possa arrivare nel mese di luglio. Come scrive oggi su “La Verità” Giacomo Amadori, l’audizione di Palamara in Commissione Antimafia è stata osteggiata e ostacolata fino all’ultimo dall’esponente Dem Piero Grasso, ma il presidente Nicola Morra è andato dritto per la sua strada e ha convocato lo stesso l’ex giudice “scomunicato” dal Csm. Il “Sistema” denunciato da Palamara parte nel racconto davanti ai parlamentari dalla nomina del procuratore di Palermo: «Il candidato di Palamara, all’inizio, è Guido Lo Forte, a cui era stato assicurato sostegno anche dall’ex procuratore di Roma, il siciliano Giuseppe Pignatone», scrive “La Verità” riportando diversi stralci dell’audizione di Palamara.
“PM MI TRANQUILLIZZARONO SU INTERROGATORIO BOSCHI”
In particolare l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo l’accusa fatta da Palamara, ebbe modo di interferire in più d’una occasione sulla nomina del Procuratore di Palermo in quanto non voleva un uomo di “sostegno”, come lo era invece Lo Forte, al processo sulla Trattativa Stato-Mafia in quel momento storico (era il 2014). «In prossimità del plenum che doveva, come da accordi, varare l’operazione Lo Forte, arriva al Csm una lettera del capo dello Stato che invita a rispettare nelle nomine l’ordine cronologico, che non vede Palermo al primo posto e la nomina così slitta», spiega ancora l’ex toga all’Antimafia. Viene scelto alla fine Lo Voi, su forte moral suasion del Quirinale: l’accusa di Palamara mette insieme un “sistema” di relazioni che coinvolgeva gli uomini di Napolitano, alcuni giudici del Csm e pure gli editorialisti di “Repubblica” Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari. Un attacco che ovviamente dovrà vedere le repliche specifiche di diretti interessati, così come quando Palamara riporta di alcuni scambi avuti con Marco Minniti (Pd) per le nomine di Nino Di Matteo alla Direzione Nazionale Antimafia e Federico Cafiero De Raho alla Procura Nazionale Antimafia. Nel primo caso, Palamara accusa i vertici del Csm («indice e gelosie da prime donne») che non volevano Di Matteo (sempre per il “nodo” della Trattativa), mentre per Cafiero De Raho fu lo stesso Ministro Dem (calabrese) ad interessarsi e dialogare con Palamara per far pervenire l’allora capo della Procura reggina alla Procura Nazionale. Terzo e ultimo intreccio con il Pd raccontato dall’ex toga riguarda il caso Tempa Rossa (che portò alle dimissioni dell’ex Ministra Guidi): il caso arrivò a sfiorare anche Maria Elena Boschi e qui viene rivelato un retroscena clamoroso, «Per me fu abbastanza singolare che, dopo l’inter rogatorio della Boschi, Luigi Gay, Laura Triassi e Francesco Basentini (i pm del fascicolo, ndr) vollero incontrarmi per tranquillizzarmi sull’andamento della indagine quasi a cercare una copertura da parte del Csm […] mi era chiaro che essendo prossimo il procuratore Gay alla pensione tanto Basentini che la Triassi ambivano ad incarichi semidirettivi. Basentini verrà poi nominato procuratore aggiunto di Potenza».