Il caso Pasquale Striano non è isolato. In passato ci sono stati altri scandali di questo tipo. Lo sa bene Luca Palamara, costretto alle dimissioni per un’inchiesta che si è rivelata in gran parte infondata. In un’intervista alla Verità spiega che l’inchiesta di Perugia sta «svelando in maniera, ancora più netta, il “dark Web” del Sistema, a cui si abbeverano cordate di potere» che affrontano le proprie questioni «anche al di fuori delle regole». Infatti, stanno uscendo notizie riguardo l’accesso ai documenti segreti del suo processo che hanno spinto l’ex pm a decidere di portare «di fronte alla giustizia europea le nuove scoperte, per evitare che il meccanismo di pressione descritto da Nicolò Zanon, a proposito della recente sentenza della Corte costituzionale sulla utilizzabilità delle intercettazioni, possa in qualche modo condizionare le decisioni dei giudici preposti a esaminare il caso». Inoltre, Palamara ha dato mandato ai suoi legali di tutelarlo in ogni sede affinché il termine “scandalo” venga associato «a chi, terremotando la magistratura, ha impedito che Marcello Viola diventasse procuratore di Roma. Qui stiamo parlando di un attacco a un corpo dello Stato per via mediatica e giudiziaria».



Per Palamara quella fu «eversione». Ma ha commentato anche il fatto che le sue chat sono finite nelle mani del responsabile della comunicazione del Pd Sandro Ruotolo. «Trovo singolare che, quando era già diventato un senatore della Repubblica, abbia sentito la necessità di spulciare le mie conversazioni private». Ma alla Verità spiega perché non è causale: «Tale richiesta avviene in concomitanza con la conferenza stampa organizzata in pompa magna da Giovanni Salvi, l’ex pg della Cassazione, con la quale annunciò l’inizio di una roboante iniziativa disciplinare».



PALAMARA “PD FACCIA CHIAREZZA SU RUOTOLO”

L’ex pm ritiene che quelle chat, in virtù dei rapporti di conoscenza di Ruotolo con molti magistrati che temevano un coinvolgimento, «dovessero servire a capire chi potesse in qualche modo rimanere coinvolto. Per questo motivo confido sul fatto che la segretaria del Partito democratico faccia luce su questa vicenda che, come detto, mina le fondamenta della democrazia». A proposito, invece, delle presunte relazioni pericolose tra l’ex procuratore di Perugia Luigi De Ficchy, che guidava l’ufficio che fece spiare il suo cellulare con un trojan, per un’accusa di corruzione poi caduta, Palamara chiarisce che ne discuterà nelle sedi opportune, ma comunque rimarca che «dalle carte processuali emergono gli stretti rapporti tra De Ficchy e il mio presunto corruttore, che corruttore non era, Fabrizio Centofanti. Questo abile lobbista, oltre che con me, che non gli ho mai chiesto prebende, aveva rapporti di amicizia, noti a molti, con il mondo della politica, della Guardia di finanza e della magistratura».



Palamara si chiede come mai non sia stato inserito quel nominativo nell’informativa della Guardia di Finanza del 2019 riguardo i rapporti di Centofanti con le toghe. «Perché questa situazione è venuta fuori solo nel 2022? Qualcuno voleva condizionare l’ex procuratore di Perugia?». Inoltre, ricorda che c’è un’intercettazione nel suo procedimento in cui uno degli allora consiglieri del Csm riferì al pm Stefano Fava che la procura di Roma «teneva per le palle De Ficchy».

“DOSSIERAGGIO? PROBLEMA DI EMERGENZA DEMOCRATICA”

Leggere che un suo collega aveva un filo diretto e costante con i giornalisti che lo stavano “distruggendo” non stupisce Luca Palamara. «Ho solo ricevuto un’ulteriore conferma su come funzioni il Sistema di cui anche io ho fatto parte». Comunque, in merito al caso Striano, l’ex pm ritiene che possano esserci dei mandanti: «La mia esperienza mi porta a ritenere che il finanziere non agisse da solo». Riguardo chi potrebbe aver ispirato Striano, Palamara ricorda che sono tre le categorie di persone interessate alle informazioni che raccoglieva: «I giornalisti, gli imprenditori e appartenenti al mondo delle istituzioni, dai magistrati alle forze di polizia».

Nel suo caso, ad esempio, dietro c’era chi non voleva una discontinuità con Giuseppe Pignatone e chi non accettava che nella magistratura ci fosse un’asse tra la corrente di Unicost e la Magistratura indipendente. Per quanto riguarda i giornalisti coinvolti nel caso dossieraggio, Palamara non è stupito, ma al tempo stesso è contrario a una commissione d’inchiesta sulle fughe di notizie. «Il problema è che in questo caso parliamo di cronisti che in qualche modo hanno partecipato attivamente alla scelta del procuratore di Roma, ritenendo che Viola non fosse idoneo a ricoprire l’incarico. È evidente che con tutto questo si sia andati oltre la libertà di stampa e si sia posto un problema di emergenza democratica».