Dopo ricostruzioni e “ipotesi” sulla maxi inchiesta per il palazzo de Vaticano a Londra, arriva una prima pronuncia dei tribunali inglesi per mano del giudice Baumgartnen della Crown Court at Southwark: viene smontata parte consistente dell’inchiesta dei magistrati di Papa Francesco (i promotori di giustizia) e si arriva a scagionare il broker Torzi dal presunto inganno alla Segreteria di Stato sul palazzo di Sloane Avenue 60 (passato dal fondo Athena di Mincione alla lussemburghese Gutt della Segreteria di Stato).
«La Segreteria di Stato vaticana non venne ingannata dal broker molisano Gianluigi Torzi sulle modalità con cui nel novembre 2018» il palazzo londinese passò alla Santa Sede, questo ha deciso il giudice inglese. Va ricordato che il 5 giugno del 2020 Torzi venne arrestato in Vaticano dopo un lungo interrogatorio, con diverse accuse tra le quali l’estorsione ma venne poi rilasciato 10 giorni dopo per la presentazione della memoria difensiva. Come spiega il Corriere della Sera, la sentenza odierna del tribunale inglese non riguarda le ipotesi di reato bensì la legittimità del sequestro a carico della Vita Healthy ltd (già, Sunset Entrerprise ltd): fu infatti quella società con la quale Torzi ricevette 15 milioni di euro dal Vaticano nel maggio 2019 per lasciare le 1000 azioni con diritto di voto al Vaticano. Ebbene, da Londra la corte si dice netta e giudica come normale transazione tra due soggetti quell’azione commerciale.
Beni di Torzi scongelati e importanti novità a corredo della sentenza, come ad esempio l’accordo verbale tra Torzi e il funzionario della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi (tra gli indagati nell’inchiesta dei promotori, ndr), per riconoscere al broker il 3% del valore del palazzo di Londra. Sempre nelle carte inglesi giunte in mano al Corriere, vi si trova una nota firmata dal Segretario di Stato Vaticano Cardinal Pietro Parolin del 25 novembre 2018: «Dopo aver letto questo memorandum, anche alla luce delle spiegazioni fornite ieri sera dal mons. Perlasca e dal dott. Tirabassi, avendo avuto rassicurazioni sulla validità dell’operazione (che porterebbe vantaggi alla Santa Sede), sulla sua trasparenza e sull’assenza di rischi di reputazione (che, in effetti, supererebbero quelli legati alla gestione del Fondo GOF) sono favorevoli alla conclusione del contratto. Grazie. P Parolin».
LE NOVITÀ SUL PALAZZO VATICANO A LONDRA
La vicenda sul palazzo a Londra di proprietà del Vaticano non smette di fornire elementi “oscuri” e “misteriosi” nelle indagini ancora in corso: l’immobile al numero 60 di Sloane Avenue, costato di fatto il licenziamento del Cardinal Becciu, torna ancora di stretta attualità dopo che il quotidiano romano “Il Tempo” è venuto in possesso di una serie di documenti dell’inchiesta che pongono ulteriori dubbi sulle reali responsabilità attribuite dai promotori di giustizia della Santa Sede, tra cui l’investitore Raffaele Mincione. Molti gli interrogativi, come ad esempio dove siano finiti i 300 milioni della presunta truffa ai danni del Vaticano sull’acquisto dell’immobile nel centro di Londra; o come anche perché quello stesso palazzo sia ancora di proprietà della Santa Sede dopo quanto affermato da Papa Francesco nel novembre 2020, «Il Vaticano esca dall’investimento spericolato nel palazzo di Londra, che provoca rischi reputazionali».
Il Santo Padre ha provato a far luce sui presunti scandali nelle operazioni immobiliari a Sloane Avenue, accelerando anche l’indagine per scongiurare l’uso “disinvolto” dei fondi della Segreteria di Stato, tra cui l’Obolo di San Pietro: ma i documenti in mano al “Tempo” non sembrano togliere dubbi, semmai aggiungerli. L’amministrazione dei fondi è stata tolta alla Segreteria di Stato e trasferita invece all’Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica): «il Vaticano ha speso in tutto 250 milioni di euro e si trova oggi con la proprietà di un immobile che ne vale, sulla carta, 260. Ma secondo l’accusa l’esborso è molto più alto: 360 milioni di euro. E a far lievitare il costo totale ci sarebbero le commissioni di gestione erogate a Mincione», annota il “Tempo” spulciando tra le ingenti carte dell’inchiesta.
L’INCHIESTA SUL PALAZZO APRE DUBBI SULL’OBOLO
Ma l’inchiesta è enorme e coinvolge nelle varie sue appendici attività finanziarie internazionali, banche e lo stesso Obolo di San Pietro: il finanziere italiano ha messo a disposizione tutti i propri conti svizzeri ai pm vaticani per verificare come non sia tutto imputabile a lui il presunto maxi-scandalo del palazzo londinese, finora però senza ricevere ancora risposta (nota il Tempo). «I flussi per le operazioni arrivano dal Credit Suisse, ma è impossibile sapere se fossero le offerte dei fedeli oppure altro», riporta ancora il quotidiano diretto da Franco Bechis, citando i documenti segreti di cui è venuto in possesso. «Solo dopo 14 mesi i pm hanno invece ottenuto la rogatoria. L’attesa inficia le attività di Mincione influenzate dalla reputazione non ristabilita. Per accelerare la decisione Athena capital, Ref, Wrm e Mincione hanno instaurato un giudizio avanti alla High Court of Justice di Londra per ottenere una sentenza dichiarativa del riconoscimento dei diritti e degli obblighi di tutte la parti», concludono le fonti del Tempo, soffermandosi infine sul ruolo che dovrà ancora avere la Santa Sede in questa intricata e molto complessa vicenda giudiziaria, «Il Vaticano è stato dunque chiamato davanti a un tribunale inglese a giustificare il suo operato. Tentativo vano perché il Cupolone tenta di opporre i l difetto di giurisdizione. Uno Stato non può essere giudicato da un giudice di un altro Paese hanno spiegato i legali del Papa». Da risolvere anche la posizione della “Cesare Pozzo“, una delle più importanti società di mutuo soccorso fondata nel 1877 che opera nella sanità integrativa: la stessa, ha investito 15 milioni di euro in obbligazioni lussemburghesi attraverso società che fanno capo a Gianluigi Torzi (il broker arrestato a giugno in Vaticano proprio per la compravendita dell’immobile a Londra).