La Palestina è considerata, di fatto, come uno Stato. Non formalmente, ma nella sostanza più o meno sì. Non potrà votare e quindi le mancherà uno strumento importante per farsi sentire, ma potrà prendere iniziative come tutte le altre nazioni dell’ONU: tutto escluso il voto. La risoluzione con la quale l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha detto al Consiglio di Sicurezza che la Palestina ha i requisiti per essere ammessa al Palazzo di Vetro di New York non basta, insomma, per equipararla completamente agli altri membri, anche se, in questo modo, c’è stato un riconoscimento di fatto della sua esistenza come realtà autonoma.
Una vera e propria “invenzione” dell’Assemblea, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università Sapienza di Roma, che ha aperto spazi di partecipazione dei palestinesi alle attività dell’ONU che non erano previsti da nessuna parte. Un modo per rispondere al rifiuto di Israele di prendere in considerazione l’autodeterminazione del popolo palestinese a creare uno Stato suo. Per diventare un membro dell’ONU a tutti gli effetti occorrerebbe un pronunciamento del Consiglio di Sicurezza, nel quale però finora gli USA hanno posto il veto.
L’Assemblea dell’ONU approva una risoluzione secondo la quale la Palestina è qualificata per diventare un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Cosa cambia?
L’Assemblea generale, uno degli organi delle Nazioni Unite, ha, in effetti, votato una risoluzione nella quale si indica che la Palestina ha tutti i requisiti previsti dall’art. 4 della Carta delle Nazioni Unite per essere ammessa come un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Oggi la Palestina ha solo uno status di osservatore.
Ma l’adesione a pieno titolo è possibile?
La risoluzione del 10 maggio non proclama l’ammissione della Palestina alle Nazioni Unite. Il motivo è che la procedura dell’art. 4, par. 2, prevede che l’Assemblea possa procedere solo su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza. Or bene, il 18 aprile scorso il Consiglio di Sicurezza ha sì messo all’ordine del giorno la questione, ma non è riuscito a raccomandare l’ammissione della Palestina in quanto bloccato dal veto degli Stati Uniti, i quali hanno precisato di essere favorevoli alla soluzione dei due Stati, ma hanno giustificato il proprio veto indicando che lo Stato palestinese dovrà sorgere sulla base di un accordo che includa Israele.
L’ammissione della Palestina può essere condizionata da Israele? Quali sono in realtà i requisiti per far parte dell’ONU?
Questa condizione non è prevista dall’art. 4, par. 1, della Carta, il quale pone come requisito di ammissione solo che uno Stato sia amante della pace, che accetti gli obblighi della Carta e che sia capace di realizzarli. In un parere del 1948, la Corte Internazionale di Giustizia ha indicato che non si possano prevedere condizioni di ammissione ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 4, par. 1. Di conseguenza, la condizione degli Stati Uniti sarebbe una condizione illecita. Ma fin tanto che gli Stati Uniti mantengono questa posizione, non ci sono rimedi disponibili che rimuovano l’ostacolo del veto. Peraltro, la condizione apposta dagli Stati Uniti è molto discutibile.
Perché?
Perché fa dipendere una decisione della comunità internazionale dall’assenso di uno Stato, Israele, il quale, per giunta, non sembra avere interesse alcuno a riconoscere lo Stato palestinese.
La risoluzione raccomanda al Consiglio di Sicurezza di riconsiderare favorevolmente la questione relativa all’adesione all’ONU: cosa deve succedere in questa sede perché la Palestina venga ammessa? La procedura terminerebbe lì? Quali sono le probabilità di un voto favorevole e chi potrebbe opporsi?
La risoluzione del 10 maggio è molto singolare. Raccomanda al Consiglio di Sicurezza di … raccomandare l’ammissione della Palestina. Ciò è comprensibile, perché, come ho detto, senza una raccomandazione del Consiglio, l’Assemblea non può deliberare. Di fatto, fin tanto che gli Stati Uniti mantengono la propria posizione, la Palestina non potrà essere ammessa.
L’Assemblea, però, ha trovato un modo per riconoscere alla Palestina alcune delle prerogative degli Stati membri?
L’Assemblea ha disposto a favore della Palestina uno status particolare e molto simile a quello di membro. D’ora in poi, la Palestina avrà il diritto di sedere in Assemblea a fianco degli Stati parte, di prendere la parola, di patrocinare proposte di risoluzione ed emendamenti ad altre proposte; di partecipare a tutte le conferenze organizzate sotto gli auspici dell’Assemblea, e così via. Ma non potrà votare. Insomma, sembra che l’Assemblea abbia, de facto, aggirato il veto degli Stati Uniti, e abbia costruito una forma di quasi membership. In questo contesto, la limitazione del voto potrebbe avere un rilievo minore.
Come cambierebbe la situazione della Palestina nel caso in cui diventasse membro delle Nazioni Unite? Sarebbe un passo anche per il riconoscimento di uno Stato autonomo? Che margine di azione avrebbe in sede ONU anche per quanto riguarda la guerra a Gaza?
A parte il profilo formale, riterrei che l’Assemblea generale abbia definitivamente riconosciuto la statualità della Palestina, peraltro proprio in un momento nel quale non si può certo dire che vi sia una effettività nel controllo territoriale da parte dell’Autorità palestinese. Si potrebbe pensare che questa risoluzione dell’Assemblea costituisca una forma di reazione collettiva della comunità internazionale al persistente rifiuto di Israele di concedere l’autodeterminazione del popolo palestinese. Prima o poi questo elemento peserà sugli equilibri geopolitici; è difficile che Israele possa a lungo sfidare la comunità internazionale. Anche l’attuale governo statunitense sembra ritenere che questa sia una situazione insostenibile.
Ci sono precedenti simili a quello palestinese o situazioni che si avvicinano a quella ora posta all’attenzione del Consiglio di Sicurezza?
La mia impressione è che l’Assemblea generale abbia deciso di forzare la situazione e di bypassare il ruolo determinante del Consiglio di Sicurezza nella procedura di ammissione. Certo, la Palestina non è ancora uno Stato membro ma è uno Stato che eserciterà poteri e prerogative riservate finora agli Stati membri. Non vi è, in questo senso, alcun precedente. Forse l’attuale momento storico ha facilitato questo strappo alla legalità onusiana. D’altronde, come ho detto, la condotta dell’Assemblea può essere vista come una reazione a una forzatura degli Stati Uniti che hanno posto per l’ammissione della Palestina condizioni non previste nella Carta delle Nazioni Unite. A parte questo profilo, è evidente che l’appoggio degli Stati Uniti a condotte israeliane molto discutibili stia mettendo a rischio gli equilibri geopolitici e stia pregiudicando i rapporti degli Stati Uniti con il mondo arabo e, più largamente, con quel mondo che si indica con il termine Global South.
Il ministro degli Esteri israeliano Katz ha definito la decisione dell’Assemblea un regalo ad Hamas: l’appartenenza di Israele e Palestina allo stesso organismo potrebbe significare un riavvicinamento tra le parti?
Non credo; almeno fino a quando non cambi la dirigenza israeliana, estremista e al servizio del modello del Grande Israele. Spesso si dice che Israele sia l’unico Stato democratico del Medio Oriente. A parte recenti sbandamenti, si tratta di una considerazione più o meno esatta. Ma, in ogni caso, la democrazia interna non è sufficiente a creare un antidoto contro politiche odiose sul piano dei rapporti internazionali. La legittimazione democratica verso il mondo esterno riposa esclusivamente sul rispetto delle regole internazionali.
(Paolo Rossetti)
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