Nel contesto delle tensioni geopolitiche degli anni 70, il terrorismo internazionale emergeva come uno strumento di lotta politica, spesso utilizzato per attirare l’attenzione globale su cause nazionalistiche o ideologiche. Uno degli episodi più significativi di questo periodo fu l’assalto alla residenza dell’ambasciatore saudita a Khartum, capitale del Sudan, il 1° marzo 1973. Questo evento non solo catturò l’attenzione mondiale per la sua violenza e la tragica perdita di vite, ma segnò anche un punto di svolta nelle dinamiche del terrorismo internazionale e nelle politiche di risposta dei governi coinvolti.
Settembre Nero a Khartum
Il gruppo responsabile di questo audace attacco era Settembre Nero, un’organizzazione affiliata all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), guidata da Yasser Arafat. Nel cuore della notte, un commando di militanti armati irruppe nella residenza durante un ricevimento, prendendo in ostaggio dieci persone, tra cui diplomatici statunitensi, l’ambasciatore saudita e membri della sua famiglia.
I terroristi avanzarono richieste estreme, tra cui il rilascio di prigionieri palestinesi detenuti in Israele, membri della Rote Armee Fraktion (RAF) in Germania, e Sirhan Sirhan, l’assassino del senatore statunitense Robert Kennedy. La risposta degli Stati Uniti fu immediata e intransigente: nessuna trattativa con i terroristi. Dopo tre giorni di tensione, e di fronte al rifiuto categorico degli USA di cedere alle loro richieste, i sequestratori uccisero tre ostaggi occidentali, segnando un tragico epilogo all’assedio. Questo atto di violenza non solo causò un’onda d’orrore internazionale, ma mise anche in luce la vulnerabilità delle nazioni di fronte a simili attacchi e la complessità della risposta politica necessaria per affrontare il terrorismo.
Le ripercussioni
La crisi di Khartum ebbe immediate ripercussioni a livello internazionale, evidenziando la crescente minaccia del terrorismo e la sua capacità di influenzare direttamente le politiche estere delle nazioni coinvolte. Pochi giorni dopo la tragica conclusione dell’assedio, l’FBI scoprì tre autobombe inesplose a New York, vicino a due banche israeliane e al terminal cargo dell’aeroporto internazionale JFK. Questo tentativo fallito di attacco, previsto per il 4 marzo 1973, in coincidenza con la visita di Golda Meir negli Stati Uniti, rappresentò il primo sforzo di Settembre Nero di portare il proprio messaggio di violenza direttamente sul suolo americano.
Il fallimento di questo piano, presumibilmente a causa di un difetto tecnico, e la violenta azione a Khartoum rivelarono l’intensificarsi del conflitto israelo-palestinese e il suo spillover oltre i confini mediorientali. La scelta di obiettivi legati a Israele e agli Stati Uniti da parte di Settembre Nero non era casuale, ma rifletteva un’escalation nella strategia di lotta armata palestinese, mirata a costringere le potenze mondiali a riconoscere e affrontare le rivendicazioni palestinesi. Questi eventi sottolineavano l’importanza per gli Stati Uniti e i loro alleati di sviluppare strategie di sicurezza più efficaci e politiche estere che potessero mitigare la minaccia del terrorismo internazionale, senza alienare potenziali partner nel processo di pace mediorientale. Inoltre, la rivelazione che le azioni di Settembre Nero potessero avere il tacito sostegno o la connivenza di figure di spicco dell’OLP sollevava questioni complesse riguardo al ruolo dell’organizzazione nel terrorismo internazionale e alla sua legittimità come rappresentante del popolo palestinese.
Le scelte di Kissinger
La declassificazione di documenti negli anni successivi ha fornito una prospettiva inquietante sull’operazione di Khartoum, svelando dettagli sul coinvolgimento di Yasser Arafat, allora leader dell’OLP. Documenti dell’epoca indicano che Arafat potrebbe avere avuto un ruolo diretto nelle operazioni di Settembre Nero, compreso l’assalto a Khartoum. Queste rivelazioni gettavano un’ombra sulla figura di Arafat, fino ad allora percepito principalmente come un leader politico e simbolo della lotta palestinese.
Henry Kissinger, consigliere per la Sicurezza nazionale sotto l’amministrazione Nixon, si trovò di fronte a una scelta difficile. La decisione di mantenere segrete le comunicazioni intercettate che implicavano Arafat nell’ordine di uccidere gli ostaggi rifletteva il desiderio degli Stati Uniti di preservare un canale di dialogo con il leader palestinese, nonostante le prove del suo coinvolgimento in atti di terrorismo. Kissinger ordinò la distruzione dei nastri originali, lasciando alle generazioni future solo le trascrizioni delle intercettazioni come testimonianza del duplice ruolo di Arafat.
Arafat guerrigliero a politico
La figura di Yasser Arafat, a lungo associata alla lotta armata per la causa palestinese, subì una notevole trasformazione nella percezione pubblica e nelle sue tattiche politiche dopo l’incidente di Khartum. Il punto di svolta fu il suo storico discorso del 13 novembre 1974 davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove Arafat offrì a Israele la possibilità di negoziati di pace, simboleggiando la sua offerta con il tenere un ramo d’ulivo in una mano e un fucile nell’altra. Questo gesto non solo segnalava la disponibilità dell’OLP a perseguire obiettivi politici attraverso la diplomazia, ma rifletteva anche una strategia calcolata di guadagnare legittimità e sostegno internazionale.
Tuttavia, la scelta di Arafat di spostare l’attenzione dalla lotta armata alla diplomazia non fu accolta unanimemente all’interno delle fazioni palestinesi. La formazione del “Fronte del Rifiuto” da parte di gruppi radicali palestinesi, sostenuti da regimi come Iraq, Libia e Yemen del Sud, dimostrava il profondo divario tra coloro che vedevano nella negoziazione con Israele un tradimento della causa e coloro che credevano nella necessità di un approccio più pragmatico.
Wadie Haddad e il KGB
In questo contesto di cambiamento, la figura di Wadie Haddad emerge come emblematica della resistenza alla transizione politica promossa da Arafat. Haddad, leader del FPLP-Special Command, continuò a perpetrare atti di violenza e terrorismo ben dopo che l’OLP aveva iniziato a esplorare vie diplomatiche. La sua determinazione a proseguire la lotta armata, insieme al sostegno ricevuto da regimi arabi e dall’Unione Sovietica, dimostra la complessità e la frammentazione del movimento di liberazione palestinese.
La relazione tra Haddad e il KGB è particolarmente indicativa delle dinamiche della Guerra Fredda nel Medio Oriente. Documenti e testimonianze rivelano che Haddad aveva stretti legami con il servizio di spionaggio sovietico, che forniva supporto logistico e materiale alle sue operazioni. Questa collaborazione non solo sottolinea il ruolo dell’Unione Sovietica nel sostenere gruppi terroristici come strumento di politica estera, ma riflette anche la volontà di Haddad di utilizzare ogni mezzo necessario per avanzare la causa palestinese, anche a costo di allearsi con potenze straniere. La complessa rete di alleanze e antagonismi che caratterizzava il movimento palestinese in quel periodo evidenzia la difficile transizione dall’uso della forza alla diplomazia come mezzo per raggiungere obiettivi politici. La storia di Arafat, Haddad e il loro coinvolgimento in eventi come l’assedio di Khartum e le successive attività terroristiche sottolinea le sfide e i dilemmi affrontati dai leader politici e militari nel contesto del conflitto israelo-palestinese e della più ampia Guerra fredda.
Una lotta globale
L’assedio dell’ambasciata saudita a Khartoum nel 1973 e le sue tragiche conseguenze hanno rappresentato un momento cruciale nella storia del terrorismo internazionale, segnando un’escalation significativa nella violenza politica e spingendo le nazioni di tutto il mondo a riconsiderare le loro politiche di sicurezza e le strategie diplomatiche. Questo evento non solo ha messo in evidenza la portata globale della lotta palestinese ma ha anche esposto la vulnerabilità delle potenze mondiali di fronte a gruppi terroristici determinati e ben organizzati. La risposta intransigente dell’amministrazione Nixon all’incidente ha stabilito un precedente per la politica estera statunitense di “non negoziare con i terroristi”, una posizione che ha plasmato l’approccio degli Stati Uniti al terrorismo per decenni a venire. Tuttavia, la scelta di mantenere segrete le comunicazioni che implicavano Arafat nell’ordine di uccidere gli ostaggi rifletteva anche le complesse considerazioni politiche che spesso accompagnano la risposta al terrorismo, compreso il desiderio di preservare canali diplomatici potenzialmente utili.
La transizione di Arafat da leader di un’organizzazione considerata terroristica a interlocutore riconosciuto nella diplomazia internazionale ha dimostrato la possibilità di trasformare il conflitto armato in dialogo politico. Tuttavia, la persistenza di figure come Wadie Haddad, che hanno scelto di continuare la lotta armata, sottolinea la sfida di unificare un movimento di resistenza sotto una strategia comune. La collaborazione tra Haddad e il KGB, insieme al sostegno sovietico a gruppi terroristici, rivela le complesse intersezioni tra terrorismo, guerra fredda e politica internazionale. Questa interazione tra potenze mondiali e gruppi non statali ha contribuito a configurare il panorama geopolitico del Medio Oriente, influenzando le relazioni internazionali e la sicurezza globale.
Armi e diplomazia
L’assalto del 1973, con le sue tragiche perdite e la sua brutalità, non fu solo un incidente isolato di violenza politica, ma un presagio di come la lotta per l’autodeterminazione palestinese e la sicurezza di Israele avrebbe continuato a formare il tessuto delle relazioni internazionali. Le richieste estreme dei terroristi, il rifiuto degli Stati Uniti di negoziare, e l’epilogo sanguinoso dell’assedio illuminarono la vulnerabilità delle nazioni di fronte a simili attacchi e la complessità della risposta politica necessaria per affrontare il terrorismo. Negli anni successivi, il mondo ha assistito a una serie di tentativi di negoziato e a tragici episodi di violenza tra Israele e Palestina. La figura di Yasser Arafat, da leader di un’organizzazione considerata terroristica a Premio Nobel per la Pace, simboleggia le complesse transizioni tra resistenza armata e diplomazia che hanno caratterizzato questo conflitto. Ora, mentre le tensioni persistono e gli sforzi di pace continuano a incontrare ostacoli, la storia di Khartum serve come promemoria dei costi umani del conflitto e della necessità imperativa di perseguire soluzioni basate sul dialogo e sulla comprensione reciproca.
In questo momento storico, in cui le relazioni tra Israele e Palestina rimangono tese e la regione cerca un cammino verso la pace duratura, riflettere sugli eventi di Khartum ci ricorda l’importanza di un approccio equilibrato tra sicurezza e diplomazia.
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