In tempi convulsi – dove alla guerra iniziata il 24 febbraio 2022 dalla Federazione Russa aggredendo l’Ucraina si aggiunge il 7 ottobre scorso la barbarica azione di Hamas nei confronti di inermi civili israeliani con le conseguenze sotto gli occhi di tutti – non si può non sottolineare che il quotidiano Avvenire rilevava (Lucia Capuzzi, 1° maggio 2022, p. 8) il fatto che “Il silenzio uccide in 169 guerre”. Cosicché quello maggiore in corso in Europa non è che uno dei tanti conflitti bellici che infuocano il mondo. Anzi, non si può scordare che nella stessa Europa altri focolai di guerra restano aperti, pur meno drammaticamente – almeno nella percezione di tanti – rispetto a quello deflagrato in Ucraina: si guardi all’Ossezia del Sud, all’Abcazia, alla Transnistria, all’ Artsakh (o Nagorno Karabakh), non potendo escludere il Kosovo. E si tratta in gran parte di guerre civili, magari con varietà di appoggi internazionali esterni allo Stato direttamente interessato dal conflitto.



Parole, forme e contenuti

Non a caso Papa Francesco già nel 2020 sottolineava che “stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzi”, conseguentemente stimolando la considerazione di chi (Alberto Melloni della Comunità di Sant’Egidio) è arrivato a sottolineare che “la terza guerra mondiale a capitoli rischia di trovare il suo rilegatore”, portando così a compimento l’opera della “guerra totale” di cui ancora il Papa finisce per ulteriormente allarmarsi.



E con Taiwan la Cina popolare non sembra far altro che aspettare l’occasione più propizia – mentre nel mondo salgono le nebbie del disordine diffuso (“come un cipresso nei campisanti”, chioserebbe Fabrizio De André nella canzone Inverno) – per avviarne la sostanziale presa di possesso già formalmente affermata. Con ciò che pure in quell’area ne conseguirebbe. Insomma, dalla guerra europea – ai confini dell’Unione – si ripercorrerà il tragitto, approfondendone la tragedia, di una guerra mondiale? Guerra magari definibile civile perché capace di coinvolgere grande parte dell’umanità, a quel punto ulteriormente – e definitivamente – migrante? Come Albert Einstein penserebbe giacché, richiamando a suo tempo i pericoli di una guerra successiva a quella conclusa nel 1945, fece capire d’esser convinto che la terza guerra mondiale si sarebbe combattuta con armi sofisticatissime (sia nel senso di drammaticamente omicide sia in quello della loro capacità di adulterazione dell’umanità), mentre la quarta guerra mondiale (di cui comunque non dubitava il sopravvenire successivo) sarebbe stata combattuta con clave e pietre.



Così, se è certo che prima o poi si dovrà pur rilevare che “il tempo è compiuto” (Mc, 1,15), possiamo ancora “lavorare” sulla constatazione di San Paolo (prima lettera ai Corinti, 7,29) che “i tempi si sono fatti stretti”. E cercare pur nelle strettoie “la diritta via” (già rimpianta da Dante), senza considerarla ancora definitivamente smarrita. Magari, a proposito di “diritta” soluzione, non si dovrebbe continuare a parlare di rispetto generico del diritto internazionale, cosa che si sente ripetere ossessiva e generica, ma qualificare fatti e azioni di cui il diritto internazionale possa costituire cornice. Forma che dia contenuto sostanziale e sostanzioso all’azione umana: La forma dell’acqua, direbbe Andrea Camilleri citando il titolo di un proprio libro sulle vicende del Commissario Montalbano. Forma est substantia rerum: è la forma a dar sostanza alle cose; ma anche nomina sunt consequentia rerum: le parole da usare per i fatti che ci troviamo di fronte debbono esser quelle corrette, caratterizzanti la realtà e non ingannevoli. Debbono esser capaci, dando la misura delle cose, di conclusioni veritiere. Anche se la verità può essere oscurata da nebbia (rieccola, la nebbia) e talvolta può esser affermata solo con l’azione, perfino col solo nostro corpo, piuttosto che con le parole.

Intorno all’anno 33 d.C. chiedeva del resto il procuratore di Giudea al prigioniero che gli stava di fronte sanguinante e incoronato di spine: Quid est veritas? E l’Uomo lì davanti, ci dicono i Vangeli, non ha risposto con le parole. Aveva risposto, ci spiega anni dopo Sant’Agostino, con la sua sola presenza, col proprio corpo e le azioni cui quel corpo si era dedicato. Non occorrevano parole! E Agostino acutamente immagina che Gesù (che parlava in aramaico ma forse con Pilato c’era l’intermediazione della lingua greca) avrebbe potuto rispondere con l’anagramma della frase che costituiva la domanda di Pilato, dicendo cioè: est vir qui adest (la verità è l’uomo che ti sta davanti).

Così, proviamoci a offrire qualche parola (utile) di risposta alla domanda circa i modi per impedire al rilegatore di completare la propria opera.

Le parole per dire e per fare

Fra le tante parole da tanti pronunciate, cominciando dal conflitto in Ucraina, proprio la Repubblica Popolare Cinese ha enunciato 12 punti di un Piano di pace. 12 punti che sono una summa condivisibile, addirittura condivisibilissima, dei principi di diritto internazionale odierno da rispettare nelle relazioni fra Stati. Vladimir Putin le ha apprezzate! Si parla di: 1. Rispettare la sovranità di tutti i Paesi; 2. Concentrarsi sulla stabilità a lungo termine del mondo; 3. Smettere di combattere; 4. Promuovere colloqui di pace; 5. Risolvere la crisi umanitaria; 6. Proteggere i civili e i prigionieri di guerra; 7. Mantenere la sicurezza delle centrali nucleari; 8. Ridurre i rischi strategici: le armi nucleari non possono essere usate e la guerra nucleare non può essere combattuta; 9. Garantire l’esportazione di grano; 10. “Raffreddare” la crisi in Ucraina con adeguato intervento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; 11. Garantire la stabilità delle filiere industriali e di approvvigionamento; 12. Promuovere la ricostruzione postbelllica.

Tutto bello, vero? Dal libro di Marie Cardinal Le parole per dirlo va tratta ispirazione per indicare “come farlo”, per raggiungerlo sul serio l’obiettivo. Così si può ragionare circa il conflitto Israele-Palestina (e riduciamo la partita a due contendenti senza nominar gli altri numerosi in campo, a cominciar dall’Iran; come del resto nel conflitto Federazione Russa-Ucraina occorre tenere ben presente la partecipazione tanto dell’Occidente collettivo – come dice Putin – quanto della Corea del Nord, dell’Iran ancora, ecc.). E in Medio Oriente il labirinto attraversa parecchie strade: 1. I palestinesi dei territori vengono “ricollocati” in vari Stati: quali?: 2. Una forza (anche) militare multinazionale garantisce (per quanti anni?) relazioni pacifiche e ricostruzione effettiva nei territori palestinesi; 3. I contributi finanziari, fra l’altro dell’Unione Europea, ai palestinesi sono sottoposti a un rigoroso controllo di condizionalità; 4. Due popoli e due Stati: ma dopo il fallimento del “processo di Oslo” come impedire che lo Stato palestinese sia frammentato, a macchie di leopardo, costellato da presenze di “colonie” ebraiche?; 5. Un solo Stato bi-nazionale, magari confederale, scaturente da un (lungo) processo di “giustizia riparativa” sul modello di Sudafrica e Ruanda.

Che fare? Qualche considerazione va lasciata all’intelligenza del lettore. Ci si proverà a stimolarla in un successivo intervento, facendo tesoro del contesto ora accennato.

(1 – continua)

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