“Se ci fosse luce sarebbe bellissimo”. Così Aldo Moro scriveva alla moglie – dal luogo in cui le Brigate rosse lo avevano sequestrato nel 1978 – pensando a cosa sarebbe seguito alla propria morte, oramai ritenuta inevitabile. Qualche giorno fa coglievo facilmente nella realtà odierna prospettive di guerra totale, e ragionavo sulla “diritta via” da individuare per dar forma adeguata a sviluppi capaci di superare le ombre del presente e orientare una luce di verità sul tempo immediatamente a venire. Mi chiedevo se ci fosse modo di dar corpo a progetti nei quali le parole non fossero vuoto esercizio dialettico, qual è l’elenco di 12 punti che la Cina ritiene di applicare utilmente alle possibilità di pace in Ucraina.
Israele e Palestina
Alcune parole di maggior sostanza e capacità di tradursi in forma concreta e tangibile cui adeguare la realtà pesantemente incombente, e nel contempo gravemente dilatabile, di oggi mi sento di proporle – come dicevo nella precedente occasione – all’intelligenza del lettore. Anzitutto un piccolissimo passo sono riuscite a farlo le parole della risoluzione (del 15 novembre) con cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – senza che fosse esercitato il diritto di veto da parte dei cinque membri permanenti che ne sono dotati e con la semplice astensione di Stati Uniti, Russia e Gran Bretagna – hanno messo l’accento sulle necessità di rispettare in Medio Oriente il diritto internazionale, la popolazione civile, il personale di assistenza medica e i bambini (questi ultimi citati ben nove volte nelle due pagine del testo).
Ma in particolare la risoluzione ha chiesto “pause umanitarie urgenti e prolungate” e corridoi adeguati, tramite i quali far circolare beni e servizi essenziali, oltre a persone gravemente pregiudicate dai combattimenti pur non partecipando ad essi. Da qui, mentre scrivo, si sviluppa l’iniziativa capace di portare a un accordo con Hamas sugli ostaggi e pause umanitarie di determinate ore lungo alcuni giorni, e già lo si è realizzato per quattro ore a Rafah nel sud della Striscia di Gaza. Un’iniziativa, questa, da taluni ritenuta capace di iniziare a orientarsi su stabili ragioni di convivenza che qua e là nell’area non mancano già oggi, sia pure in misura sporadica e in ambiti geografici assai ristretti. Il modello futuro può esser quello della “giustizia riparativa”. Se ne declinano esempi, derivati da fonti giuridiche internazionali nonché europee, con riferimento alle condotte penali e all’evoluzione dei rapporti fra vittime e autori di reati nell’ambito degli ordinamenti penali nazionali (in Italia si veda il decreto legislativo n. 150 del 2022).
Ma c’è pure l’esempio della Commissione per la verità (la verità! Quella che evocavo qui sopra e di cui scrivevo nell’intervento precedente) e la riconciliazione istituita in Sudafrica dopo la fine del regime di apartheid. Sia pur valutandone le indispensabili diversità nel caso, una modalità del genere potrebbe portare (ma con tempi certo non brevi) a un dialogo diffuso tra le parti a ogni livello delle popolazioni coinvolte, e quindi al reciproco riconoscimento al di là del dato ideologico-politico e al di là del dato giuridico, tribunali compresi, nonché al di là del dato religioso stesso. Benché soprattutto quest’ultimo aspetto sia di natura significativamente ostica ma non tale da ritenere impossibile la costituzione di due Stati: dipende dagli atteggiamenti anzitutto psicologici assunti dalle popolazioni in questione nel periodo di transizione.
Inoltre un periodo di “sedimentazione” di reciproche ostilità potrebbe esser gestito dall’intervento, anzitutto nella striscia di Gaza, di una forza di pace – operante nel quadro delle Nazioni Unite – che veda la presenza di forze militari e civili arabe, appartenenti anche a Stati dove la composizione di pacifiche relazioni con Israele aveva trovato, o stava trovando, sbocco con i cosiddetti Accordi di Abramo. Proprio dell’area di Gaza non si può non immaginare quello che poteva essere lo sviluppo – senza tener conto dei furori umani – a partire almeno dal 2005, quando materialmente il territorio è stato abbandonato da militari e insediamenti israeliani e gli aiuti internazionali avrebbero potuto condurla ad una situazione, almeno economica se non di indipendenza statuale, non troppo distante da quella di Singapore (734,3 km² contro i 365 km² della Striscia).
E Singapore ha anche svolto dal 1952 un percorso che l’ha portata fra i primi Paesi al mondo nel contrasto alla corruzione, stando all’indice annuale, redatto da Transparency International, di percezione del fenomeno. Certo è che nella stessa Cisgiordania, costellata da insediamenti di coloni israeliani e insanguinata da tempo pure da reciproche uccisioni, bisogna fare i conti con l’evidenza che nell’ultimo periodo si è ovviamente fatta più aggressiva, distruttiva e omicida l’attività nell’area da parte dei primi nei confronti dei palestinesi, accompagnandosi a pesanti operazioni dell’esercito dello Stato ebraico.
Ucraina e Russia
Quanto all’Ucraina orientale, presa di mira dal 24 febbraio 2022 da forze russe, potrebbe esser anzitutto sperimentato, con riferimento a zone quali il Donbass, il metodo che, in derivazione dall’accordo italo-austriaco del 1946 (De Gasperi-Gruber), ha concretizzato un amplissimo status di autonomia, pur nell’ambito della Repubblica italiana, della Provincia – appunto autonoma – dell’Alto Adige/Südtirol. E la Crimea occupata dal 2014 dovrebbe esser oggetto di un referendum autentico, controllato da enti come, da una parte, l’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) di cui sono membri tanto la Federazione Russa quanto l’Ucraina, e, dall’altra la Commissione di Venezia (la Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) che è un organo del Consiglio d’Europa di cui è membro l’Ucraina e lo era la Russia fino all’anno scorso, quando ne è avvenuto l’allontanamento proprio a seguito dei fatti bellici determinatisi dal 24 febbraio.
Potrebbe/dovrebbe accadere questo, ma se resta Putin al comando della Federazione occorrerebbe far “digerire” al suo ego (e alla sua immagine di fronte al Russkij Mir, l’anima russa cui egli si rifà) le tante decine di migliaia di morti di questi ultimi tempi.
(2 – continua)
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