Mentre fra israeliani e palestinesi si sono comunque dipanate parziali tregue nei combattimenti con scambi di detenuti, e mentre in Ucraina si è in una fase di logoramento che avvantaggia la Russia (più dotata di uomini da gettare, volenti o nolenti, sul campo di battaglia), l’Europa che fa? Meglio: cosa fa quell’Organizzazione sovranazionale denominata Unione Europea che annovera fra i propri membri 27 Stati del nostro “vecchio Continente”?



Dell’Ue, comunque la si veda, non possono essere ignorati i successi economici di libera circolazione di merci, persone, servizi (banche, assicurazioni, ecc.) e capitali che hanno portato a un ampliamento di competenze in tanti campi del cosiddetto “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, comprensivo della cooperazione fra gli Stati membri nel settore della giustizia, dell’attività di polizia, della (difficile, faticosa, controversa) regolazione delle migrazioni.



L’economia europea oggi è fra l’altro alle prese con la riforma del Patto di stabilità e crescita, sospeso in periodo di pandemia ma alle soglie di riprender applicazione: con quali mutate caratteristiche lo si sta negoziando di questi tempi e il compromesso da trovare fra Paesi membri (alcuni in estrema sintesi definiti “frugali” e altri “spendaccioni”) non è facile!

La soluzione individuata peserà sulle elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento europeo cui procederanno i popoli delle 27 nazioni fra il 6 e il 9 giugno dell’anno prossimo.

Intanto proprio il Parlamento europeo ha avviato un nuovo percorso di modifica dei trattati che disciplinano l’Unione per renderli più efficienti e fra l’altro in grado di non subire vincoli nell’esercizio delle varie attività a causa del veto, nel percorso decisionale, anche di un solo Stato membro. Al riguardo va fatto rinvio, in particolare, alla risoluzione che il Parlamento “comunitario” ha adottato il 22 novembre scorso (con una maggioranza peraltro assai contenuta e ristretta), dove si parla di interventi ad esempio in tema di “riforme istituzionali”, di “mercato unico, economia e bilancio”, di “scambi commerciali e investimenti”, di “politica energetica”, di “clima e ambiente” di “sanità”, di “scienza e tecnologia”. E si parla anche di “politica estera, di sicurezza e di difesa”.



Quest’ultima questione è evidentemente di particolare rilevanza nel contesto bellico odierno, riguardo al quale si è certamente manifestato un ampio sostegno dell’Ue al Paese del presidente Zelensky, specie attraverso sanzioni economiche verso la Russia, forniture d’armamenti all’Ucraina e avvio dei negoziati di adesione di quest’ultima all’Unione. Ma si sono pure evidenziate criticità, com’è il caso dell’Ungheria che, vistisi bloccati fondi europei a motivo di normative interne illiberali contrarie al diritto “comunitario”, ha a propria volta utilizzato la possibilità del veto sulla concessione di 50 miliardi di aiuti economici all’Ucraina fino al 2027, nonché di 20 miliardi in aiuti militari, al fine di vedersi infine attribuire almeno una parte (circa 900 milioni di euro del programma REPowerEU) di fondi UE congelati (attorno ai 30 miliardi). E il rapporto di Viktor Orbán con Vladimir Putin non è certo fra quelli deteriorati…

Quanto ai palestinesi è noto che l’Ue ne è contributore in termini di finanziamenti a titolo umanitario (circa 28 milioni nel 2023) e che da ultimo è stata necessaria una revisione degli interventi a seguito della quale la Commissione europea, a fine novembre, non ha evidenziato che sostegni dell’Ue siano in specie pervenuti ad Hamas, e che insomma “il denaro sia stato deviato per scopi non voluti”. Speriamo che davvero così sia avvenuto in una realtà dove è eufemistico sottolineare che le verifiche sono assai complicate.

Insomma, in Palestina e Ucraina conta parecchio il denaro – che certo una dimensione politica l’assume – ma non ancora il ruolo da protagonista politico che eventuali, possibili, futuribili, Stati Uniti d’Europa (lo Stato federale unitario evocato pochi giorni fa da Mario Draghi) potrebbero esercitare.

Gli elementi di federalismo nell’Unione attuale già ci sono: si pensi proprio al Parlamento europeo, ma anche alle modalità di stampo appunto federale che la cooperazione europea ha assunto in molti campi. Eppure resta la considerazione del ruolo internazionale mondiale di poco rilievo dell’Ue quando si esce dalla dimensione economica e ci si confronta con le “grandi potenze” (a proposito: anche per la situazione in Medio Oriente la Cina, come fatto per l’Ucraina, ha elaborato un piano di pace in cinque punti).

Già il fatto che a rappresentare l’Ue nei rapporti internazionali ci sia tanto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, quanto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è espressione formale di frammentazione. Per non parlare del così denominato “Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la sicurezza”, Josep Borrell, che già per il fatto di esser definito “Alto” richiama qualche ironia rispetto ai (pochi) poteri di cui è dotato.

Insomma: occorrono modifiche istituzionali per l’evoluzione in senso statuale di un’Unione Europea (che del resto ha nel cassetto l’assegnazione nel 2012 del premio Nobel per la pace, avendo “contribuito al progresso della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”) in grado di competere sul piano globale affermando i propri valori “del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze” (così l’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea).

Sono dubbioso circa la possibilità che questo percorso si approfondisca e diventi rapido con le prossime elezioni del Parlamento europeo, quando la politica nazionale è, come mi pare di poter dire non solo per l’Italia, orientata a “fatti di casa” appunto nazionale, senza capire che la casa moderna ed efficiente, capace di reggere agli scossoni mondiali, è quella comune (o “comunitaria”) continentale europea. Anche recuperando quanti al momento ne stanno fuori in modo apparentemente chiaramente inconciliabile e addirittura distruttivo.

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