Portare i palestinesi di Gaza in Congo e in altre nazioni. A questo starebbe lavorando in questo momento il governo Netanyahu che secondo notizie di stampa, riprese in prima battuta da Times of Israel, risolverebbe così, con una migrazione “volontaria”, il problema degli sfollati della Striscia che ora premono sui confini dell’Egitto. Un’idea che, tuttavia, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di Diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma, ha diverse controindicazioni proprio sul piano delle regole internazionali. La deportazione forzata di una popolazione verso un altro Stato può essere qualificata anche come genocidio.



Israele avrebbe avviato trattative con il Congo e con altri Paesi (ci sarebbero contatti anche con l’Arabia Saudita) per trasferire gli sfollati palestinesi di Gaza. Cosa dicono le norme internazionali per situazioni di questo genere? È un’ipotesi che può essere presa in considerazione? Ci sono dei precedenti?

Il trasferimento forzato della popolazione civile verso altri Stati è proibito dall’art. 49 della IV Convenzione dell’Aja del 1949. Israele è parte di questa Convenzione. L’art. 49 vieta il trasferimento forzato, sia di massa che individuale, della popolazione civile, per qualsiasi motivo. La Convenzione, tuttavia, consente per motivi militari imperativi, ovvero per la sicurezza della popolazione civile, un trasferimento temporaneo, allorché siano garantite condizioni di sicurezza e di una vita dignitosa per la popolazione. L’art. 49 specifica, quindi, il principio fondamentale del diritto umanitario, e cioè la distinzione fra combattenti e civili.



Alcune testate israeliane come Times of Israel parlano di migrazione volontaria degli abitanti della Striscia: se fosse in questi termini il piano israeliano potrebbe essere preso in considerazione? O sarebbe comunque da considerare in qualche modo un trasferimento forzato e quindi inaccettabile?

Dalle fonti giornalistiche sembra emergere che Israele intenda trasferire la parte della popolazione che accetti tale trasferimento. Non si tratterebbe, apparentemente, di un trasferimento “forzato”. Tuttavia, come ho detto, l’art. 49 vieta anche il trasferimento dei civili all’interno del territorio nel quale si combatte, consentendolo solo a stringenti condizioni di sicurezza per la popolazione civile. Inoltre, ai civili debbono essere assicurate condizioni di igiene, salute e nutrimento. Or bene, sulla base dei rapporti delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali, né l’una né l’altra condizione sembrano soddisfatte. Anzi, sulla base di rapporti indipendenti, sembra proprio che la popolazione civile versi in stato di estremo pericolo nonché in condizioni di vita disumane, privata di cibo, di assistenza medica, di una forma ancorché precaria di abitazione, del mantenimento dei legami familiari, e così via. In questa situazione, è ragionevole ritenere che trasferire su base volontaria una popolazione civile che versi in queste condizioni equivalga a un trasferimento forzato.



Il trasferimento all’estero potrebbe significare che i palestinesi non tornerebbero più nelle loro case. E Gaza è talmente distrutta che non potrebbero starci a guerra finita: in attesa di una eventuale ricostruzione potrebbero doversi adattare ad altre soluzioni. Ci sono organismi internazionali deputati a occuparsi di loro, come si può costruire un programma per accoglierli e aiutarli senza che debbano abbandonare definitivamente l’idea di tornare nella loro terra?

Ritengo che la guerra di Gaza sia combattuta, da ambo le parti, nell’assoluto disprezzo delle regole del diritto umanitario. La Corte penale internazionale ha giurisdizione su tali crimini in forza della adesione della Palestina allo statuto della Corte. Ovviamente, la CPI può solo giudicare su condotte individuali, ma non può imporre forme di riparazione a favore dei civili di Gaza. Peraltro, non mi sembra che alcuno abbia idee chiare sul futuro status di Gaza. Non le ha Israele, il quale sta combattendo una guerra avendo bensì in mente un obiettivo militare ma non un obiettivo politico sul futuro del territorio di Gaza. È verosimile che parte dei membri del governo israeliano accarezzi l’idea di espellere da Gaza i suoi abitanti. Se ciò accadesse, non si tratterebbe più solo di crimini di guerra ma di crimini contro l’umanità. Come è noto, il Sudafrica ha adito Israele di fronte alla Corte internazionale di giustizia sulla base della Convenzione che proibisce il genocidio, del 1948, del quale Israele è parte. Fino a questo momento è dubbio che le condotte di Israele possano essere qualificate come genocidio, soprattutto riguardo l’intento genocidiario, e cioè l’intento di cancellare un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Ma il trasferimento della popolazione di Gaza fuori dalla Striscia, valutata nel contesto di altre violazioni del diritto umanitario nei confronti della popolazione civile di Gaza, potrebbe essere qualificato come tale.

Secondo il Programma alimentare mondiale il Congo presenta elevati livelli di disuguaglianza e il 52,5% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà: i profughi secondo il diritto internazionale a cosa hanno diritto?

Non credo possibile che un tale disegno si avveri. Ma, qualora si avverasse, i civili di Gaza, secondo il diritto internazionale, non sarebbero profughi, ma vittime di un crimine contro l’umanità. Ad essi, infatti, non si potrebbe applicare la qualifica di rifugiati, ai sensi Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. La Convenzione non impone ad alcuno Stato di accogliere i profughi, ma consente a singoli individui, perseguitati nel proprio Stato di cittadinanza per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per ragioni politiche, di chiedere asilo. È assai dubbio che la Convenzione si applichi a una intera popolazione scacciata dalla propria terra.

Il piano israeliano va ancora chiarito, ma è plausibile pensare che le nazioni che accoglieranno i palestinesi ricevano sostegni o altri aiuti. Una circostanza che può essere accettata a livello internazionale? Basta un accordo tra i Paesi interessati?

Riterrei che un accordo in questo senso sia contrario al diritto cogente, e cioè alle norme fondamentali del diritto internazionale, che gli Stati non possono derogare attraverso un accordo. Se Israele concludesse un accordo con uno Stato terzo affinché questo accogliesse la popolazione di Gaza, tale accordo sarebbe invalido in quando regolerebbe in maniera illecita le conseguenze di un crimine contro l’umanità. Ma, a parte le considerazioni giuridiche, ritengo che una tale soluzione porrebbe a repentaglio l’assetto geopolitico internazionale, già abbastanza instabile. Voglio augurarmi che gli amici e alleati di Israele prendano una posizione molto ferma a riguardo.

L’idea del governo Netanyahu per trovare una sistemazione ai palestinesi ricorda quella del governo inglese di mandare in Rwanda le persone che chiedono asilo nel Regno Unito. Un’idea che si sta facendo strada anche ad altre latitudini. La comunità internazionale può fare qualcosa per bloccare questi piani? Ci sono stati pronunciamenti in sede ONU o di altre istituzioni su questi temi?

Vi è, a prima vista, una analogia fra il piano del governo inglese e quello che, secondo fonti giornalistiche, sarebbe un piano ancora in via di elaborazione da parte di Israele. Ma, a ben vedere, si tratta di due cose diverse. La deportazione di immigrati irregolari verso uno Stato terzo non è paragonabile al trasferimento forzoso di una intera popolazione. Il piano britannico si fonda sul principio che nessuno Stato ha l’obbligo di aprire i propri confini alla immigrazione irregolare. Certo, ci sono problemi giuridici, anche gravi, nelle vicende della esternalizzazione del fenomeno delle migrazioni. Ma la deportazione forzata di una intera popolazione verso un altro Stato è un’altra cosa. È una violazione delle regole fondamentali del diritto internazionale, del divieto di crimini contro l’umanità, del principio di autodeterminazione dei popoli e potrebbe essere qualificata come genocidio.

(Paolo Rossetti)

 

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