Sono tre i casi accertati in Italia di vaiolo delle scimmie, decine invece nel resto del mondo. Ma non c’è il rischio di una diffusione epidemica. Ne è certo il professor Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) già presidente dell’European Society for Virology, nonché professore emerito di Microbiologia e Virologia. Il Monkeypox è noto da tempo, ma sta suscitando attenzione per una diffusione anomala rispetto a quando è comparso nel 1950. «L’infezione sull’uomo è molto meno grave di quella delle scimmie», ha dichiarato a Il Giornale. Per quanto riguarda la trasmissione, ha spiegato che ciò avviene «attraverso lesioni mucocutanee, droplets respiratorie o contatto con fluidi corporei». Il periodo di incubazione del vaiolo delle scimmie è solitamente di un paio di settimane.
Per quanto riguarda i sintomi, Palù ha parlato di «rialzo febbrile e sintomi simili influenzali dovuto al passaggio del virus dalle mucose ai linfonodi. Poi compare l’eruzione prima vescicolare (piccole vescicole), poi macule (lesioni piatte), papule (lesioni in rilievo) e croste». Sono invece rare per l’uomo «le complicazioni polmonari e sistemiche». Per quanto riguarda la protezione per chi fino al 1981 è stato vaccinato per il vaiolo, il virologo preferisce non sbilanciarsi. «Ha una protezione molto lunga negli anni, anche contro il monkeypoxvirus, come dimostrato dai soggetti africani vaccinati. Non possiamo però dire con certezza, nel caso di specie, quanto possa durare questa protezione perché sono passati 40 anni dalla sospensione della vaccinazione antivaiolosa». Per Palù «in linea teorica si tratta di una protezione che può durare per tutto il corso della vita».
VAIOLO DELLE SCIMMIE, PALÙ SU FARMACO E SCENARI
Non esistono vaccini ad hoc per il vaiolo delle scimmie, ma un farmaco, il Tecovirimat, approvato dall’Ema. «Ha una protezione molto efficace e funzione impedendo l’ultima fase della replicazione del virus, ovvero l’uscita dalla cellula», ha dichiarato Giorgio Palù a Il Giornale. Nell’intervista fa una distinzione tra le due varianti presenti del Monkeypox, la prima dell’Africa occidentale con una mortalità inferiore all’1%, mentre l’altra dell’Africa centrale dal 5 al 10%. A differenza di quanto accaduto col Covid, la possibilità che il vaiolo delle scimmie diventi pandemico sono basse per il virologo: «Può anche occasionalmente trasmettersi da uomo a uomo ma anche per la trasmissione da uomo ad uomo c’è sempre bisogno di un contatto molto stretto. Quindi non c’è il rischio di una diffusione epidemica e tanto meno pandemica». Quel che conta è isolare i casi sospetti e mettere a punti sistemi diagnostici adeguati, del resto dobbiamo aspettarci, secondo Palù, nuovi virus con potenziale zoonotico. Inoltre, la diffusione dei virus è favorita dalla globalizzazione diffusa. Senza dimenticare che «è in corso un’alterazione del pianeta e di molte sue nicchie ecologiche, pensiamo solo alla deforestazione e agli allevamenti massivi di animali di specie diversa».