Pamela Mastropietro è stata violentata, uccisa mentre era ancora in vita e fatta a pezzi: la Corte di Assise di Macerata ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di Innocent Oseghale, punito con l’ergastolo e 18 mesi di isolamento diurno. Un omicidio che sconvolse l’opinione pubblica e per il quale è stata fatta giustizia: come evidenziato dai giudici, la giovane romana non morì per overdose ma venne accoltellata due volte dal nigeriano «allorchè Pamela era ancora in vita». Il presidente della corte d’assise Roberto Evangelisti ha chiarito che «non esiste nessun ragionevole dubbio: le conclusioni cui pervenivano i consulenti delle accuse pubblica e privata, cementate dalla condotta dell’imputato, ispirata da finalità probatoriamente inquinanti, sono suffragate dai risultati delle indagini tossicologiche e sui resti cadaverici». I difensori di Oseghale – Simone Matraxia e Umberto Gramenzi – hanno 45 giorni per presentare il ricorso in appello.
PAMELA MASTROPIETRO: “OSEGHALE LAVO’ RESTI PER INQUINARE PROVE”
Ma non solo: la Corte d’Assise di Macerata ha inoltre evidenziato che, dopo aver trafitto mortalmente Pamela Mastropietro, Innocent Oseghale lavò i resti della ragazza con varechina per inquinare la prova omicidiaria, attività «che non può certo trovare giustificazione nel fatto che l’imputato si sentisse, per così dire, infastidito dall’odore proveniente dai resti dopo aver brutalmente sezionato il cadavere con chirurgica precisione». In un altro passaggio, i giudici hanno sottolineato che la tesi dell’accusa è suffragata dalle numerose versioni fornite da Oseghale circa lo svolgimento dei fatti, definite contraddittorie e adattate alle esigenze difensive e agli sviluppi investigativi, «denotanti le inquietanti capacità mimetiche e simulatrici dell’imputato». Infine, la Corte ha spiegato di non poter sottacere il significato delle dichiarazioni di Oseghale, volte a «sottrarsi all’accertamento della verità».