Sono vecchio abbastanza da far fatica ormai ad andare a un concerto. In realtà, mi manca moltissimo andare a un concerto. L’ultimo a cui sono andato è stato Michael Kiwanuka lo scorso 7 dicembre, proprio poco prima che scoppiasse la pandemia di Coronavirus. Eravamo impacchettati ben oltre la capienza del locale (da denuncia) e per fortuna che i giovani non si contagiavano. Ma io non sono giovane, però mi è andata bene. A leggere i media più informati, quelli anglo-americani potrebbe essere che concerti non se ne tengano fino all’autunno del 2021. I concerti normali, naturalmente, non questa triste imitazione di un concerto con sedie qua e là e i posti socialmente distanziati come in chiesa. Peggio ancora, si parla sempre più insistentemente di concerti virtuali, visti da casa al computer on in tv. Vorrei morire piuttosto che guardarne uno in queste condizioni.
Sono abbastanza fortunato di lavorare a poca distanza dall’Alcatraz, un locale che adoro, nonostante tutti ne parlino male. E’ molto largo, non contiene troppa gente a meno che l’organizzatore non faccia il furbo, puoi spostarti qua e là e non rimanere inchiodato come una sardina, l’acustica è sufficientemente buona e poi, cavolo, qua ci ho visto Lou Reed, Patti Smith, Nick Cave, Bob Dylan, un concerto superlativo di David Bowie, Black Crowes, John Fogerty… Tutto in condizioni umane, avvicinandomi e allontanandomi dal palco. Insomma godendomeli tutti.
Adoro uscire dall’ufficio, mangiarmi un panino con la salamella, bere un paio di birre ed entrare senza dover attraversare Milano, bestemmiare per trovare un parcheggio, tornare a casa con la metro che ferma poco lontano da dove abito. Sono fortunato. Mi godo l’adrenalina che sale man mano che mi avvicino. L’odore della sala, le luci mezze spente, vedere i tecnici che si muovono sul palco, l’attesa, la gente che arriva.
Ma mi manca anche entrare in un locale minuscolo, non sapere chi suona e uscire con una nuova band preferita. Mi manca andare a vedere una delle mie band preferite. Mi manca l’energia. Mi mancano la vivacità e il volume. Mi manca il fatto di non pensare a nient’altro che a ciò che è giusto di fronte a me. Quando una canzone è così bella, ti avvicini a un amico e fai quella strana cosa sorridendo che dice: “È così bello”. Mi manca andare a uno spettacolo da solo. Mi manca davvero stare nella stessa stanza con dozzine o centinaia di sconosciuti. Mi mancano persino gli estranei che mi incontrano. Non mi manca chi mi rovescia la sua birra addosso, a meno che non sia una ragazza.
A proposito, non sono solo io. Ho fatto questa domanda ad alcuni amici su Facebook: “Cosa ti manca della musica dal vivo?”.
Ecco alcune risposte:
“Qualunque cosa”.
“Quella strana sensazione dopo che è finito. Si accendono le luci, il bar chiude, tutti stanno cercando di capire quale sarà il prossimo”.
“Mi manca la comunità di estranei con cui ti leghi per un’esperienza musicale condivisa”.
“L’atmosfera in una folla gremita”.
“La connessione reciproca di tutti nella stanza!”.
“Quando un artista smette di cantare nel mezzo del ritornello o della strofa per lasciare che la folla finisca all’unisono”.
Chissà quando rivedrò uno spettacolo. Quando arriverà il momento, sono sicuro che non riuscirò a smettere di sorridere. E mi immergerò nel lungo elenco di cose che mi sono perso. Senza questa quarantena, forse non avrei mai fatto quella lista.