Sollecitato da Giorgio Vittadini su quattro parole-guida (“diseguaglianze”, “produttività”, “capitale umano” ed “Europa”), Fabio Panetta (qui il suo intervento integrale al Meeting di Rimini) non ha eluso alcuna questione nell’assegnare al Paese – prima ancora che al Governo – i compiti a casa per un autunno che si profila puntualmente denso di sfide.
Alla ricerca dell’essenziale – nello spirito di un Meeting di cui è stato per la prima volta ospite (affascinato) -, il Governatore della Banca d’Italia ha cercato le ragioni della fiducia in una realtà economico-finanziaria che resta seria e complessa: dopo la pandemia (seguita da significativi accenni di ripresa) e ancora nel pieno di una crisi geopolitica che aggiunge a tutta l’Europa priorità d’agenda sul fronte della “sicurezza”. Analisi, previsioni e raccomandazioni ruotano sempre attorno a tre numeri-grandezza (debito pubblico, deficit e Pil). Sono i parametri di stabilità Ue, ma – prima ancora – gli indicatori di salute reale di un’Azienda-Paese: nel breve termine per l’affidabilità e attrattività sui mercati dei capitali; nel medio periodo per la manovrabilità del bilancio pubblico sul fronte degli investimenti; nel lungo periodo per la stabilità sociale (e generazionale) di un Paese che – come altri in Occidente – continua a invecchiare. Di qui l’appello – asciutto e poco equivocabile – perché il Governo metta in cantiere una Legge di bilancio “prudente”.
Ma le passività del budget non possono essere l’unica leva della politica economica, al contrario (Panetta, in Sala Neri, ha avuto anzi un passaggio molto secco sul fallimento delle strategie di austerity pura e semplice imposte anche all’Italia durante la crisi dei debiti pubblici del 2010-12). Il Pil – il denominatore dei coefficienti Ue – è la grandezza su cui il numero uno di Bankitalia spinge le forze politiche ed economiche a focalizzare gli sforzi maggiori. Se il Pil aumenta, cala il peso relativo del debito e si allargano gli spazi per una spesa pubblica che accompagni spirali di sviluppo. Ma la crescita, nel 2024, non si annuncia affatto una sfida solo congiunturale.
Soprattutto in Italia – ha sottolineato con forza il numero uno di via Nazionale – essa non può che nascere dalla soluzione di un nodo divenuto purtroppo strutturale nell’Italia in epoca-euro: lo stallo della produttività del lavoro. Su questo versante, secondo Panetta, sono convocati tutti: imprese e lavoratori, università e centri di ricerca, governo nazionale e governo dell’Europa. La nuova sovranità acquisita con l’unione monetaria (che per il Governatore resta un successo assoluto e una piattaforma irrinunciabile) va proiettata nella costruzione di una nuova competitività industriale Ue: e questa non può che maturare in una chiave autenticamente europea. Questo sulla scia del Recovery Plan e del NextGenerationEu: la cui evoluzione rafforzata dovrà vincere le ultime esitazioni sulla strutturazione di una politica comunitaria di bilancio, definitivamente gemella di quella monetaria.
L’innovazione competitiva sui mercati globali non si può costruire fino a che “la spesa per gli interessi sul debito pubblico è ancora pari a quella per l’istruzione”. Il capitale umano va dunque arricchito in via strategica con investimenti straordinari pubblici e privati: non da ultimo perché è la via maestra per garantire ai giovani pari opportunità reali e al Paese – al Continente – un futuro davvero prospero e pacifico. Al riparo anche – ha annotato non di sfuggita il Governatore – dai fenomeni di instabilità sociale che affondano le loro radici anche nelle diseguaglianze: e che frenano l’avvio di politiche “razionali” di accesso regolato di lavoratori non comunitari nell’Ue.
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